«Per cinquanta o sessant'anni ci siamo cullati nell'illusione che finché avremo denaro avremo cibo. Ci siamo sbagliati. Se continueremo ad offendere la terra e il lavoro che ci consentono di nutrirci, la scorte alimentari diminuiranno e ci ritroveremo con un problema molto più grave del crollo di quest'economia di carta. Il Governo non sarà in grado di produrre cibo semplicemente regalando centinaia di miliardi di dollari alle società di agribusiness». Così parlò Wendell Berry. Era l'autunno del 2008. Da pochi mesi divampava la più grande crisi economico- finanziaria moderna. Il mondo era in ginocchio. L'Occidente si sentiva perduto. Il visionario contadino- scrittore del Kentucky aveva formulato una diagnosi che gli gnomi dell'alta finanza e i loro “dipendenti” politici, arroccati negli impotenti Parlamenti e nelle vacillanti Cancellerie, avrebbero ignorato pur di non ammettere che l' “economia di carta” aveva inferto un colpo mortale alla Natura, ai diritti dei popoli.

«Per cinquanta o sessant'anni ci siamo cullati nell'illusione che finché avremo denaro avremo cibo. Ci siamo sbagliati. Se continueremo ad offendere la terra e il lavoro che ci consentono di nutrirci, la scorte alimentari diminuiranno e ci ritroveremo con un problema molto più grave del crollo di quest'economia di carta. Il Governo non sarà in grado di produrre cibo semplicemente regalando centinaia di miliardi di dollari alle società di agribusiness».

Così parlò Wendell Berry. Era l'autunno del 2008. Da pochi mesi era divampata la più grande crisi economico- finanziaria moderna. Il mondo era in ginocchio. L'Occidente si sentiva perduto. Il visionario contadino- scrittore del Kentucky aveva formulato una diagnosi che gli gnomi dell'alta finanza e i loro “dipendenti” politici, arroccati negli impotenti Parlamenti e nelle vacillanti Cancellerie dell'Est e dell'Ovest, avrebbero ignorato pur di non ammettere che l' “economia di carta” aveva inferto un colpo mortale alla Natura, ai diritti dei popoli, alla Terra Madre corrotta dall'avidità.

Nutrirsi, elementare è fisiologico bisogno umano, non è più un atto naturale, ma il prodotto della contraffazione del mercato alimentare che serve altri scopi a cominciare e dal sostentamento della “finanziarizzazione” dell'economia e dall'incitamento all'abuso dell'inessenziale. E spinge nel ritenere che mangiare non sia semplicemente un “atto agricolo”, vale a dire il prodotto finale del raccolto secondo le regole del rispetto della terra.

E’ il primo caposaldo di un moderno “conservatorismo” che apre alla difesa dell’ambiente e della comunità umana tutt'una con il mondo circostante a cui appartiene. Berry, interrogandosi sul “piacere di mangiare” connesso alla natura dell'uomo e ormai svilito nelle varie forme che orridamente ci sommergono attraverso la televisione ed il web, osserva in Mangiare è un atto agricolo ( Lindau, 2015): «Spesso, alla fine di una conferenza sul declino della vita rurale e dell'agricoltura in America, qualcuno dell'uditorio chiede: “Cosa può fare chi abita in città?” “Mangiare responsabilmente” rispondo di solito. Naturalmente cerco di spiegare cosa intendo con questa espressione, ma mi sembra sempre di non aver detto abbastanza. Adesso vorrei cercare di offrire una spiegazione più ampia. Comincio dall'affermazione che mangiare è un atto agricolo ed ecologico. Mangiare conclude il dramma annuale dell'economia alimentare che inizia con la semina e la nascita. Molti mangiatori non sanno più che questo è vero. Pensano all'alimentazione come produzione agricola, forse, ma non si considerano parte dell'agricoltura. Si considerano “consumatori”. Se pensano un po' più a fondo, devono riconoscere di essere consumatori passivi.(...) La condizione del consumatore passivo di alimenti non è una condizione democratica. Una delle ragioni per mangiare responsabilmente è di vivere liberi. Ma se esiste una politica alimentare, esiste anche un'estetica alimentare e un'etica alimentare, nessuna delle quali è separabile dalla politica. Come il sesso industriale, anche l'alimentazione industriale è diventata una cosa povera, degradante e meschina. Le nostre cucine e gli altri luoghi in cui si mangia assomigliano sempre più a distributori di benzina, e le nostre case somigliano sempre più a motels».

Wendell Berry ( 5 agosto 1934), poco conosciuto in Italia, ma influente negli Stati Uniti dove è apprezzato come scrittore, poeta, saggista, ambientalista, nel volgere la sua attenzione alla questione del cibo e dell'agricoltura imputa alle distorsioni della modernità la distruzione dello spirito comunitario su cui si fonda un corretto rapporto tra uomo e natura.

Le sue opere - alcune delle quali pubblicate nella nostra lingua da Lindau che ha meritoriamente proposto all'attenzione questo “irregolare” intellettuale- contadino americano, amante di Firenze dove ha soggiornato per un anno circa - sono ad un tempo un atto d'accusa ed un'apologia appassionata degli elementi naturali della vita la cui decadenza provoca inevitabilmente la soppressione dell'ordine dimensionato secondo il diritto naturale. All'età di ottantacinque anni, oltre alla scrittura continua a dedicarsi fattivamente all'agricoltura mandando avanti la sua fattoria nel Kentucky presso la cui università si laureò ed insegnò per lungo tempo letteratura e scrittura creativa prima di approdare a quelle di New York e della California, fra il 1957 ed il 1965 quando ritornò nel Kentucky stabilendosi nella fattoria dove la sua famiglia risiede dal 1800. Vi coltiva 125 acri seguendo metodi tradizionali e biologici. In tutti i suoi scritti Berry sottolinea la necessità di salvaguardare e conservare l'ambiente, l'agricoltura, la famiglia, le comunità tradizionali, l'armonia fra l'uomo e la natura. E’, la sua, una visione profondamente spirituale dell'esistenza che ha indotto il New York Times a definirlo «il profeta dell'America rurale».

I romanzi di Berry sono esemplificazioni, letterariamente assai suggestive, della sua visione del mondo. In particolare in Hanna Coulter la narrazione dei ricordi della protagonista, due matrimoni alle spalle e tre figli, serenamente in attesa che il tempo se la porti e la ricongiunga ai suoi cari, si situano nelle pieghe di una vita semplice ed intensa raccolta nella piccola aspettativa di dare ogni giorno un senso a ciò che si fa. Nasce così e si sviluppa fino alla fine nell’animo di Hannah, avvolta dalle certezze di cui si è nutrita nel suo Kentucky fin da quando è nata, una rara idea di comunità radicata in un sentimento vivo di appartenenza ed aggrappata ad una terra nella quale si dipana una naturale vitalità che i meccani moderni e stranianti non riescono a scalfire. Al centro, ovviamente, c’è l’amore. Esso, osserva Hannah, «non nasce dal nulla. Non è qualcosa che s’inventa. È qualcosa che cresce a partire dalla terra, come noi. Che possiede un corpo e un luogo». Chi sa riconoscere questa verità, come il più giovane dei discendenti della vecchia signora ad un certo punto della sua contraddittoria ed insoddisfacente esistenza, trova se stesso riannodandosi a quella comunità della quale è partecipe, pur senza esplicitamente ammetterlo, legata alla natura, alla produzione di cose vere che nascono dal lavoro dei campi, dalle relazioni sociali cementate dal riconoscimento della dignità di ognuno, dal legame tra le generazioni.

La storia di una comunità, raccontata con le parole di Hannah, è il tema che Berry offre in questo romanzo struggente e poetico, spiritualmente coinvolgente, sul cui sfondo si muovono i valori della vita rurale. Il racconto è l’opposto di un manifesto ideologico: da esso, infatti, emerge la ricca vicenda della comunità, sia pure immaginaria, di Port William, microcosmo dove accade in scala ridotta ciò che avviene ovunque si viva secondo schemi “tradizionali”. Con la forza di una narrazione limpida, Barry fa emergere caratteri e passioni convogliandoli in una dimensione che può sembrare irreale, ma che tuttavia, fino a quando gli effetti dell’individualismo esasperato non hanno avuto la meglio, ha connotato l’esistenza di società sane.

La piccola cittadina americana, vera protagonista del romanzo, scossa dai grandi eventi che hanno segnato il secolo scorso, ha resistito fin quando ha potuto all’onda d’urto che pure su di essa si è abbattuta. Poi si è dovuta arrendere. Ma la vecchia signora e poi suo nipote si sono incaricati di testimoniare non una nostalgia, ma un altro modo di vivere, quello comunitario, appunto, nel quale tutto si conserva ed ogni cosa si rinnova nell’ordine naturale.

Hanna Coulter, è l’ideale prosieguo di un analogo romanzo di Berry, Jaber Crow e di Un posto al mondo, esempi tra i più riusciti della “letteratura del ritorno” al centro della quale l’uomo e la natura vivono in armonia in opposizione all’utilitarismo e alla pervasività della tecnologia e del profitto.

L'attività letteraria non ha mai distolto Berry da quella saggistica. Pur vivendo appartato rispetto alla società letteraria, “vigila” sulle devastazioni della modernità cui contrappone il “ritorno alla terra” e allo spirito comunitario per scongiurare la catastrofe del Pianeta annunciata dal totalitarismo dell’economia finanziaria che ha fatto strame dell’ambiente e del corretto uso delle risorse naturali. Nell'ultima raccolta di scritti apparsa in Italia, sempre per Lindau, La strada dell'ignoranza, l'accento sul “comunitarismo” è molto più marcato.

Con modulazioni assai suggestive, Berry esprime una critica profonda, ancorché sostanziata da fatti inoppugnabili e lontana da ideologismi di maniera, all’ “economia faustiana” che ha cloroformizzato le anime e reso ciechi i politici, in nome del raggiungimento di profitti che stanno avvelenando, oltre all’America, tutto l’Occidente. Nel pronunciare una condanna senza appello dell’american way of life, Berry, come esplicita in questo prezioso vademecum di sopravvivenza possibile, non si limita a formulare una riflessione acuta e fuori dagli schemi su economia, immaginazione e conoscenza, ma incita a recuperare il cammino della conservazione dei valori primari e naturali al fine di rifondare un mondo che sta sprofondando. Cominciando, fedele allo spirito che caratterizza tutta la sua opera, dalla difesa della terra, dell’agricoltura, dell'alimentazione compatibile con culture e tradizioni ancestrali.

«Dobbiamo renderci conto - scrive - che i tentativi sregolati del comunismo e del capitalismo indu- striali sono ugualmente falliti. Le pretese di produttività, redditività ed efficienza, di crescita, benessere economico, potere, meccanizzazione e automazione senza limiti, per un certo tempo possono arricchire e conferire autorità ai pochi, ma prima o poi ci distruggeranno tutti». Insomma, per Berry, i livelli di “vivibilità” di una comunità non si possono misurare con i valori del Pil o con i bilanci delle aziende.

C’è dell’altro che fa parte del nostro codice genetico innestato su una corretta utilizzazione della natura, rispettandola e conservandola, per garantirci piaceri, desideri, longevità, libertà, autosufficienza. Una comunità in buona salute, dice Berry, non è soltanto «una comunità esclusivamente uman», ma un insieme di esseri «in un determinato luogo, più il luogo stesso: suolo, acqua, aria, e tutte le famiglie e le tribù di creature non umane che ne fanno parte». Per questo «gli obiettivi di produzione, profitto, efficienza, crescita economica e progresso tecnologico non implicano e in pratica non rispondono ad alcun criterio sociale o economico. Ma esiste un altro insieme di obiettivi che al contrario comportano dei criteri, e sono la libertà ( quasi un sinonimo di autosufficienza individuale e locale), il piacere (ossia, la gioia di essere vivi) e la longevità o sostenibilità ( che esprime il nostro desiderio di veder perdurare libertà e piacere). Tutte queste aspirazioni implicano il criterio del benessere. Alla fine, dipendono necessariamente dal benessere della natura: l'idea che libertà e piacere possano durare a lungo in un mondo malato è assurda».

Berry aggiunge che quando parliamo di comunità dobbiamo riferirci ad un legame complesso non soltanto tra esseri umani ma tra questi e l’ambiente che li circonda. Una prospettiva di conservazione ecologica, se si vuole. Tanto antimoderna da essere addirittura proiettata nell’avvenire...

Come il pensiero di questo americano che si permette di mettere in discussione l'ideologia americana, quella che sta corrodendo gli Stati Uniti e l'intero Occidente in un processo di regressione il cui esito davvero può essere la "fine della storia".