I ministeri Gianluca De Leo e Giacomo Brandini, della Dda di Palermo, hanno chiesto la condanna a 12 anni per Vito Nicastri, coinvolto anche in un’inchiesta in cui sono indagati, tra Palermo e Roma, il faccendiere Paolo Arata e per corruzione il leghista Armando Siri.

Nicastri, originario di Alcamo ( Trapani), nel processo in corso con rito abbreviato davanti al gup Filippo Lo Presti, è imputato di concorso in associazione mafiosa e di trasferimento fittizio di beni, aggravato dall’agevolazione di Cosa nostra. Con lui sono a giudizio il fratello Roberto, per il quale sono stati chiesti 10 anni di carcere, stessa pena proposta per Giuseppe Bellitti, mentre 12 anni sono stati sollecitati nei confronti di Melchiorre Leone e Girolamo Scandariato, quest’ultimo figlio del capomafia di Calatafimi trapani. Nicastri, già ritenuto prestanome di Matteo Messina denaro, nella vicenda è accusato di avere agevolato una speculazione sui terreni un tempo appartenuti agli esattori mafiosi Salvo di Salemi ( Trapani) e poi trasferiti in eredità al nipote Antonio Salvo e alla moglie di lui, Giuseppa.

Nell’ambito di questa vicenda, lo scorso anno, il cosiddetto «Signore del vento», così chiamato per la sua particolare propensione a sviluppare affari nel settore dell’eolico, era finito in carcere, per essere poi mandato ai domiciliari dal tribunale del riesame. Nel corso del periodo in cui era stato agli arresti in casa, Nicastri aveva avuto ripetuti contatti con Arata e quest’ultimo avrebbe esercitato una serie di pressioni per sponsorizzare i progetti che aveva in comune con l’imprenditore alcamese. A Siri, secondo quanto emerso nell’inchiesta della Dda di Palermo, trasmessa per competenza a Roma, Arata avrebbe dato 30 mila euro per favorire l’approvazione di un emendamento di suo interesse, mirato a ottenere sovvenzioni in favore delle aziende che aveva in comune con l’imprenditore siciliano del vento.