Proviamo a rigirarla. Proviamo a pensare che Catiuscia Marini sia ancora governatrice umbra. Che il sottosegretario Armando Siri svolga senza patemi il suo incarico. Che la sindaca Raggi si affacci dal balcone sui Fori e veda solo storiche bellezze. Tutto ciò consentirebbe una discussione, accesa ma rispettosa, sulle incrostazioni che il mancato ricambio politico produce rendendo le amministrazioni riserve ereditarie di consenso? Che le grandi opere e le energie rinnovabili sono decisive occasioni di sviluppo a patto che siano del tutto trasparenti? Che non è serio aspettarsi miracoli nel risanamento delle nostre più belle città dopo decenni di trascuratezza e opache se non criminali connivenze, ma è ancora meno serio prometterli?

Quasi sicuramente - e desolatamente la risposta non potrebbe che essere negativa. Perché nel nostro Paese la politica da troppo tempo ha smesso di interrogarsi su se stessa, di avere respiro e lungimiranza, di svolgere il compito specifico e democratico di ricerca di soluzioni per il bene comune. Una condizione di progressivo degrado e rinuncia che ha prodotto crollo di autorevolezza e scadimento di fiducia. Il perché mezza Italia rifiuti di andare alle urne sta qui. Su queste basi agisce l’uso strumentale e barbarico delle inchieste, che da decenni ha tracimato il livello di guardia. Le indagini sono diventate armi tanto improprie quanto devastanti di lotta politica dove qualunque colpo, compresi i più bassi, è ammesso o addirittura ricercato.

Di conseguenza ogni avviso di garanzia diventa colpevolezza certa; ogni intercettazione, senza guardare se correttamente o scorrettamente pubblicata, inappellabile verdetto di condanna; ogni inchiesta, poco importa se è alle fasi preliminari, processo celebrato con sentenza già scritta. Se poi ci aggiungiamo la disinvoltura con la quale in tanti casi i media civettano con le Procure e l’enfasi spettacolarizzante che gioca senza scrupoli con vicende private e talvolta perfino privatissime delle persone, il quadro è sbozzato.

Su questo sfondo, i principi cardine della civiltà giuridica diventano trascurabili orpelli. La presunzione di innocenza viene considerata un ingombro, retaggio di un passato da cancellare. O al contrario sfrontato scudo per nascondere responsabilità. Il controllo di legalità è indispensabile. Ma l’uso politico delle inchieste è fatale. Il rispetto delle regole, sempre e comunque, è il garantismo che ci appartiene e preferiamo.