«Il governo rispetterà i tempi previsti nel “cronoprogramma" : la riforma del codice di procedura civile avverrà entro il prossimo mese di giugno». Ad affermarlo sono stati sia il guardasigilli Alfonso Bonafede sia altri player della maggioranza in materia di giustizia, a cominciare dal sottosegretario Jacopo Morrone. Di diverso avviso, invece, le opposizioni che questa settimana, in commissione Giustizia a Montecitorio, hanno manifestato molta “perplessità” sulle tempistiche per il definitivo via libera alla riforma fissate dall’esecutivo. Secca la replica di Morrone: «Non è intenzione del governo e della maggioranza prendere in giro alcuno».

Ma andiamo con ordine. Lo scorso agosto, per riformare il codice di procedura civile, era stata nominata dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede una commissione ad hoc composta da tre esperti: Maria Colomba Giuliano, giudice presso il Tribunale di Bologna, Salvatore Sanzo, avvocato milanese, Elisabetta Silvestri, professore associato di Procedura civile all’Università di Pavia.

La bozza era stata sottoposta, ricevendone giudizi controversi, all’Associazione nazionale magistrati, all’Organismo congressuale forense, al Consiglio nazionale forense e all’Unione nazionale delle Camere civili.

La commissione aveva lavorato celermente, tanto che già a gennaio l’elaborato era stato inviato, dallo stesso Morrone, a tutti i rappresentanti dei gruppi parlamentari per eventuali contributi e integrazioni. Le modifiche così suggerite sarebbero state oggetto di una sintesi finale a cura del capo ufficio legislativo del ministero della Giustizia, nella cornice di un tavolo di confronto poi effettivamente aperto con le stesse rappresentanze forensi e con quella dei magistrati. La stessa decisione di condividere il percorso di riforma anche con le opposizioni era stata molto apprezzata.

Fra i punti salienti del testo, la modifica della composizione del Tribunale, la disciplina sull’ammissibilità delle prove, nonché quella della responsabilità delle parti sulle spese da definire in sentenza. Sono previsti riti semplificati davanti al Tribunale in composizione monocratica, modifiche in tema di mediazione, sulla normativa relativa alle notifiche, sul pagamento del contributo unificato. La riforma sarebbe stata a costo zero. Secondo quanto riferito da Morrone a gennaio, il testo finale doveva veicolato come «decreto legislativo entro il prossimo giugno, dopo l’approvazione di una legge delega».

Tuttavia, nel Def approvato ieri, ci si limita ad affermare che «la delega sarà esercitata con l’adozione dei relativi decreti legislativi entro giugno 2019».

«Al momento il disegno di legge delega non risulta nemmeno adottato dal Consiglio dei ministri. E tantomeno è stato trasmesso al Parlamento», ha dichiarato Enrico Costa, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia a Montecitorio. «La conseguenza di ciò – prosegue – è l’assoluta impossibilità di mantenere il termine di giugno prossimo previsto nel Def per varare la riforma».

«Il Def contiene imprecisioni sulla tempistica e svilisce il lavoro parlamentare», ha sottolineato il collega di partito Pierantonio Zanettin. La relatrice del Def in commissione Giustizia, la pentastellata Carla Giuliano, ha messo le mani avanti, evidenziando che in caso di ritardi si provvederà ad un “aggiornamento” delle tempistiche. Ma nessuna modifica è stata per adesso introdotta. Pare comunque difficile, a questo punto, che in poco più di due mesi si possa varare un progetto di riforma tanto ambizioso. Soprattutto considerate le fibrillazioni all’interno del governo in materia di giustizia. L’altro ieri, come si ricorderà, il ministro Giulia Bongiorno aveva disertato il tavolo sulle riforme convocato dal guardasigilli. E infatti il nodo dei tempi è legato proprio alle tensioni nella maggioranza. Non al merito dei provvedimenti, che nella loro versione finale hanno trovato il consenso sia dell’avvocatura che dei magistrati.