Quanto può durare? La sceneggiata allestita dal governo italiano intorno al Def che il Senato ha approvato ieri è, dal punto di vista dell'immagine, magistrale ma non potrà essere portata avanti troppo a lungo. Di fatto ci sono due Def: c'è quello ufficiale, il ' bagno di verità” che serve a rassicurare l'Europa e c'è quello di cui parlano ogni giorno non solo i due vicepremier ma decine di dirigenti e parlamentari sia leghisti che pentastellati che è di segno opposto. Contrasta con quello reale, è vero, ma tanto lo sanno tutti che il Def vero non arriva in aprile ma in settembre, con la Nota di correzione, e anche più tardi. La risoluzione di maggioranza presentata ieri quadra il cerchio legittimando entrambe le posizioni: la versione scritta, che comporta l'aumento dell'IVA, dunque delle tasse, e quella orale, che promette la Flat Tax, dunque il taglio delle tasse'. Si impegna infatti a evitare l'aumento dell'IVA, ' compatibilmente con i conti pubblici'.

A rendere possibile un simile doppio registro è in buona misura l'approssimarsi del voto europeo. A Bruxelles si dà per scontato che in campagna elettorale non ci si debba formalizzare per quello che i politici dicono e comunque un'impennata della tensione con l'Italia a urne quasi aperte non è negli interessi di nessuno. Subito dopo il voto o al più tardi in settembre, con la Nota correttiva, il gioco del doppio Def dovrà però finire. Bisognerà fare scelte non facili e in realtà proprio questo ha detto il ministro Tria quando, dopo essere stato bombardato per tutto il giorno dagli azionisti politici del governo, è andato mercoledì sera a Porta a Porta per assicurare che il governo intende sterilizzare l'aumento dell'Iva e allo stesso tempo intervenire sull'Irpef. I fondi per realizzare quello che pare un miracolo, ha infatti detto, ci sono. ' Però sono già allocati: dove prenderli e dove destinarli è una decisione politica', ha aggiunto. In concreto il prezzo del mancato aumento dell'Iva, tanto più se accompagnato all'intervento sull'Irpef, può essere solo un taglio drastico alla spesa pubblica.

Quello che ha delineato Tria è un dilemma in piena regola: aumento dell'Iva oppure tagli presumibilmente molto dolorosi. Non è questa la via d'uscita che hanno in mente Salvini e Di Maio. I due sperano in un terremoto europeo di dimensioni tali da aprire strade oggi del tutto ostruite, in particolare quella del deficit. Tutto può succedere ma alla vigilia uno sconquasso a favore dell'Italia non appare probabile. I sovranisti, secondo ogni previsione, riscuoteranno un successo notevole ma non tale da impedire la formazione di una maggioranza che li escluda. In ogni caso, come si è visto l'anno scorso in occasione dello scontro sulla legge di bilancio, i partiti sovranisti non sono affatto più morbidi degli altri quando si tratta di deficit e flessibilità. Al contrario. Certo, a Strasburgo Salvini farà parte di un gruppo numeroso e possente, ma circondato da una sorta di cordone sanitario dovuto non tanto alla presenza della Lega, sulla cui linea dura in materia di immigrazione l'Europa, dichiarazioni di facciata a parte, concorda in pieno, ma del Front national e dell'AfD, partiti sui quali Macron e la Merkel non tollerano aperture di sorta. Le cose potrebbero cambiare se Salvini abbandonasse dopo il voto la Le Pen per orientarsi verso l'Ecr, il gruppo dei Conservatori e Riformisti, e qualora questo gruppo entrasse nella maggioranza. Non è un'ipotesi del tutto fuori dal mondo ma neppure probabile.

Il peso contrattuale di Salvini aumenterebbe però anche se fosse lui il capo di un governo italiano, sostenuto da una maggioranza diversa. In quel caso non è escluso un atteggiamento almeno in prima battuta, dunque per la prossima legge di bilancio, più aperto, cioè più flessibile, da parte di Bruxelles. Uno dei limiti principali di questo governo agli occhi della Ue, infatti, è che ogni spesa va sempre e comunque raddoppiata, perché la natura stessa del contratto impone ai due soci di reclamare uguale trattamento, o più precisamente uguale spesa. A ogni misura imposta dagli uni deve corrispondere una misura altrettanto dispendiosa chiesta dagli altri. Un governo Salvini sostenuto da una vera coalizione risolverebbe almeno questo problema. Inoltre un governo non più "contrattualizzato" farebbe ricadere sulla necessità di mediare con i soci l'attuale paralisi in materia di investimenti, chiedendo e probabilmente ottenendo un'apertura di credito per il nuovo corso.

Non è quello che vogliono Salvini e Di Maio, decisi invece, per quanto possibile, a difendere il governo Conte. La legge di bilancio potrebbe però rivelarsi causa di forza maggiore e imporre una rottura che pure nessuno dei due auspica. Sempre che i numeri che usciranno dal bussolotto europeo lo consentano. Per prendere in considerazione l'ipotesi di tentare la conquista della maggioranza, senza Berlusconi ma con una forza di destra composta da FdI e dai fuoriusciti "salviniani" di Forza Italia, la Lega deve partire da un risultato non solo soddisfacente ma trionfale alle europee. Da una percentuale più vicina al 35 che al 30%.