Dal fare indagini su Matteo Messina Denaro a ritrovarsi indagato per favoreggiamento a Cosa nostra, il passo è stato brevissimo per Marcello Viola, attuale procuratore generale di Firenze e all’epoca dei fatti procuratore di Trapani. L’accusa risale all’ottobre del 2015. Viola sta svolgendo indagini sulle infiltrazioni mafiose nella Pubblica amministrazione nel trapanese. Per “ottimizzare” i tempi chiede ad un appuntato della Guardia di Finanza, persona di fiducia del procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato, alcuni atti relativi ad un pentito, contenuti nel pc del magistrato. Fra Viola e Principato c’è da anni uno stretto rapporto di collaborazione. L’appuntato, nel frattempo, viene però sottoposto ad indagine da parte dei suoi colleghi per fatti che nulla hanno a che vedere con la mafia. Durante una perquisizione, i finanziari gli trovano un sms in cui si fa riferimento alla consegna di «atti sulla latitanza di Matteo Messina Denaro» a Viola. I due vengono immediatamente indagati per rivelazione del segreto d’ufficio con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra. Secondo l’iniziale impianto accusatorio della Procura di Caltanissetta, lo scambio illecito di atti coperti da segreto investigativo fra Viola ed il finanziare poteva violare un protocollo di coordinamento fra gli uffici giudiziari e, di conseguenza, danneggiare le indagini della Dda di Palermo per la cattura del super latitante Matteo Messina Denaro. Ultimati gli accertamenti, i pm nisseni chiedono l’archiviazione per entrambi. Inizialmente non accolta dal gip che dispone l’imputazione coatta. La scorsa settimana, davanti ad un secondo gip, il definitivo proscioglimento «Non è necessario formalizzare lo scambio di atti fra le i vertici delle Procure di Palermo e Trapani», scrivono i magistrati di Caltanissetta nell’archiviazione. La collaborazione in questione aveva poi ad oggetto proprio gli atti richiesti da Viola. «Nell’ambito di questo coordinamento è assolutamente legittimo chiedere gli atti direttamente alla pg per prassi consolidata in tale senso». Un reato «evidentemente insussistente».

Il coordinamento era basato su un continuo scambio di atti e che avveniva proprio tramite l’appuntato della finanza. La circostanza è stata confermata durante il processo dai pm di Trapani e Palermo che lavoravano con Viola e Principato. Un eccesso di “speditezza” ha dunque rischiato di essere gravemente frainteso.