Forse siamo vicini all'ultimo atto di una partita spietata e senza esclusione di colpi che si è giocata per decenni tra i Paesi europei, con il petrolio e il gas della Libia come posta. In quella partita l'Italia ha giocato a lungo, ai tempi della vituperata Prima Repubblica, in modo magistrale, seguendo la strategia impostata dal solo principale statista che la Repubblica possa vantare: Enrico Mattei. Il fondatore dell'Eni era già stato fatto fuori da sette anni quando in un albergo di Abano terme, nell'estate 1969 fu messo a punto il progetto di golpe che doveva rovesciare la monarchia filobritannica di re Idris e sostituirla con un gruppo di ufficiali alla cui guida c'era il colonnello Muhammar Gheddafi.

Scattata nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 1969, l' ' Operazione Gerusalemme', come si chiamava in codice, fu un successo pieno. Il golpe fu quasi del tutto incruento: una sola vittima, per errore. Re Idris provò inutilmente a chiedere l'aiuto del Regno Unito. In realtà gli inglesi tentarono davvero un controgolpe, che fu sventato grazie all'intervento italiano.

Forse la partita cominciò allora, quando il colonnello Gheddafi diventò il Raìs di quello che veniva usualmente definito ' uno scatolone di sabbia'. Ma forse era iniziato prima, negli anni ' 30, quando i tecnici italiani avevano iniziato le ricerche nel sottosuolo libico. Oppure nel 1959, quando l'Eni riprese le ricerche interrotte dalla guerra mentre Mattei metteva sotto scacco le sette sorelle, le compagnie regine del petrolio, offrendo ai paesi produttori di petrolio un rapporto fifty- fifty, cioè una divisione paritaria dei proventi invece che quella imposta dalle sette sorelle che destinava solo il 25% ai produttori. Di certo, quando l'Italia appoggiò il golpe di Gheddafi e quando sventò la mossa inglese era perfettamente consapevole di cosa ci fosse sotto la sabbia contenuta nello ' scatolone'.

Il doppio registro seguito dal colonnello è noto: da un lato l'espulsione degli italiani, la ricorrenza annuale del ' giorno dell'ira' anti- italiana, le sceneggiate stentoree; dall'altro accordi estremamente favorevoli all'Italia sul solo piano essenziale, quello del rifornimento energetico. Era quello che l'Italia si aspettava. Non a caso, subito dopo il golpe, mentre il Raìs tuonava contro il Paese ex- coloniale, proprio l'Italia permise al golpista di inscenare una parata trionfale inviando in tutta fretta e in gran copia i carri armati necessari per far fare una figura trionfale al finto ' nemico'. I risultati si videro subito, con un accordo firmato dallo stesso ufficiale italiano che si era incaricato di sventare il controgolpe inglese e proprio per questo ' promosso' a plenipotenziario diplomatico. I rapporti politici, nel corso dei decenni successivi, sono stati oscillanti. C'è stata la crisi di Malta nel 1980, quando l'Italia arrivò a minacciare l'intervento militare in difesa dell'isola. C'era stata prima la crisi dei rifugiati, quando la stessa Italia sempre nel 1980, dopo discorsi sempre più minacciosi del Raìs, consegnò ai servizi segreti libici gli indirizzi segreti dei dissidenti libici rifugiati in Italia, e ufficialmente protetti dall'Italia. Furono eliminati uno dopo l'altro nel giro di un mese. Ci fu il missile libico lanciato contro Lampedusa nel 1986 ma è bene ricordare che fu il governo Craxi, nello stesso anno, ad avvertire il colonnello dell'attacco americano a sorpresa contro la sua residenza a Tripoli, salvandogli così la vita.

Perché sul piano degli affari, invece, di incrinature non ce ne furono. Alla vigilia della guerra che travolse Gheddafi, nel 2010, l'Eni estraeva da sola il 10% del petrolio libico e aveva di fatto il monopolio sul gas. In quell'anno il 22% del petrolio e il 35% del gas adoperati in Italia arrivavano dalla Libia. Sei anni più tardi, nel 2016, le percentuali erano ridotte al 12% per il petrolio e al 6% per il gas. Anche se non ci fossero state le carte segrete di Hilary Clinton rese note da Wikileaks sarebbe stato evidente comunque che la decisione francese di sferrare l'attacco contro Gheddafi nel 2011 prendeva di mira prima di tutti proprio l'Italia. I documenti e i commenti dell'allora segretaria di Stato alla Casa Bianca, comunque, dissipano ogni eventuale dubbio.

A determinare la mossa francese, nel 2011, non fu solo, e forse non fu soprattutto, la ' primavera araba' arrivata anche in Libia. Fu la debolezza internazionale dell'Italia, con un premier delegittimato dallo scandalo Olgettine e dalla situazione economica. Gli attacchi mossi in questi giorni da alcuni esponenti del Pd contro la Lega, accusata di aver fatto parte del governo che scelse di partecipare alla guerra contro Gheddafi, sono propaganda non priva di parecchia ipocrisia.

Berlusconi, pur in condizioni di estrema debolezza, tentò al contrario in ogni modo di evitare quell'intervento militare. Aveva fondato una parte essenziale della politica estera ed energetica italiana proprio sull'accordo con Gheddafi, e alle risorse energetiche si era aggiunto il capitolo migranti. L'accordo con la Libia stretto dall'allora ministro Minniti e rinsaldato da Salvini ricalca in realtà quello del governo Berlusconi, altrettanto cinico nel fingere di ignorare cosa significasse già allora affidare alla Libia il compito di impedire le partenze verso l'Italia. Chi forzò la mano a Berlusconi, con estrema ruvidezza, fu casomai il presidente Napolitano, sostenuto proprio dal Pd.

Dopo la caduta di Gheddafi l'Italia e l'Eni non hanno mai recuperato il ruolo che aveva avuto per decenni. Ma, complice l'incapacità di sostituire il Raìs, hanno conservato una presenza forte. Ha mantenuto buoni rapporti con la Cirenaica di Haftar pur avendo il grosso dei propri interessi concentrati in Tripolitania. Il 70% delle aziende che avevano lasciato la Libia dopo la caduta di Gheddafi è rientrata, anche se solo la metà è davvero attiva. La partita non è ancora chiusa. La conquista di Tripoli da parte di un Haftar spalleggiato alla Francia sarebbe probabilmente la mano finale.