La politica? Strano destino. Negata e soprattutto rinnegata, è però l’unica salvezza per un Paese disorientato, deluso, incollerito. Con la giusta distanza da fatti ed emozioni, Marco Follini guarda all’Italia e ai suoi movimenti profondi.

Ecco, appunto. Appoggiando l’orecchio a terra, cosa sente rimbombare nel cuore profondo degli italiani?

Bisogna partire da un elemento decisivo. Negli anni scorsi abbiamo assistito ad un passaggio che ha condotto dalla sfiducia al rancore. Il tratto di strada che siamo percorrendo oggi è quello che porta, nella migliore delle ipotesi, dal rancore all’inconcludenza e nella peggiore ad un drammatico avvitamento della crisi economica e sociale. La domanda è quali fattori di mutamento della pubblica opinione tutto questo porterà. E’ un gigantesco punto interrogativo che pende sulla testa di tutti noi.

Ma questo rancore cos’è, che natura ha: è un tratto del Dna nazionale che è tornato a galla oppure è un sentimento nuovo alimentato da demagogia e populismo?

Come dimostra il dibattito che si è aperto a partire dal libro di Asor Rosa su Machiavelli, nei cromosomi del nostro Paese c’è l’una e l’altra cosa. C’è la straordinaria generosità e indole costruttiva e l’esplosione ciclica di una pancia che secerne egoismo e sopraffazione.

E adesso che sta succedendo?

Noi siamo dentro due bolle. Una più piccola è quella del governo gialloverde, dei suoi errori, delle sue contraddizioni, di quel misto di insipienza e arroganza che lo connota. Questa bolla fa parte di una interpretazione sbagliata dei bisogni del Paese. Quando le cifre ci avvisano che a chiedere quota 100 è una platea limitata di persone e il reddito di cittadinanza è chiesto più in Lombardia che in Calabria, è segno che queste due misure che sono la struttura portante della politica economica ufficiale dell’esecutivo non colgono nel segno, sono due provvedimenti che non servono la loro stessa causa. E dunque si può pensare che questa bolla del governo gialloverde prima o poi esploderà.

E a quel punto cosa succede: tornano quelli di prima?

No, evidentemente. Chi lo pensa prende un abbagli enorme. Perché la prima bolla sta all’interno di un’altra molto più grande, che è la preminenza del populismo nel discorso pubblico. Questa seconda bolla si è formata in anni e anni di demagogia ed è il peccato capitale della politica, la sua umiliazione più forte. Dunque la vera questione non è quando e se cade il governo bensì quanto dura la preminenza del populismo nel racconto politico italiano.

Ma se questa demagogia è connaturata all’Italia, quali anticorpi è possibile attivare?

Storicamente l’antidoto è stato il sistema dei partiti. Ci son ostati 40 anni dissennati e prima altri 40 più costruttivi. Io non penso che la Prima repubblica fosse il Paradiso. Piuttosto era il nostro Purgatorio. In problema è che ne siamo usciti dalla parte sbagliata. Anziché condurre le cose verso il compimento della democrazia mediante l’alternanza tra due schieramenti di destra e di sinistra, che a volte si combattevano altre collaboravano ma sempre sapendo rispecchiarsi l’uno nell’altro, siamo arrivati all’estremo opposto passando per Tangentopoli, la questione morale, Berlusconi, Renzi eccetera. Letto in prospettiva, è stata una continua semina di argomenti che non a caso sfocia adesso in questa maggioranza, in questo governo, in questo sentimento popolare. C’è stata una progressiva semina di argomenti demagogici e sottilmente antipolitici che hanno preso il sopravvento.

La vera questione è se noi siamo in grado di recuperare significati, memorie, identità, culture politiche che in questi anni abbiamo disperso. Perché noi stessi...

Alt, scusi: noi stessi politici o noi stessi italiani?

Noi stessi politici. Il sentimento antipolitico è nato dentro la cittadella del potere: maggioranza e opposizione. Del sistema. E’ da lì che occorre tentare una risalita.

Sì però è anche vero che questa cittadella del potere non è stata capace di autoriformarsi. Il sistema dei partiti è in profonda crisi. Chi sarà il demiurgo di questa risalità?

Non ci sarà alcun demiurgo. C’è un percorso lungo da fare, lungo quanto quello che ci ha condotto fin qui. E chi si illude che possa essere improvvisata una risalita in Paradiso con una Quarta repubblica, illude sè stesso. Il punto è da dove si ricomincia la risalita. Io dico questo: in un Paese come l’Italia, dove la politica conta molto e non se ne può fare a meno, e in cui i partiti sono stati rispettivamente la democrazia, la cittadinanza e perfino lo Stato - ricordo le polemiche sulla partitocrazia che aveva sostituito lo Stato ebbene avendo cancellato i partiti abbiamo cancellato lo Stato. Dobbiamo ricostruire una cultura civile partendo dall’assunto che la democrazia non è l’Altro e il Basso: la democrazia è tutto quello che ci sta in mezzo. Se continuiamo a illudere noi stessi che esiste un mitico balcone di palazzo Chigi che una volta conquistato genere per questo stesso fatto l’abolizione della povertà, la supremazia dell’onestà e via dicendo, ripeto facciamo una gigantesca opera di autoinganno.

Rovescio la domanda di prima. Se bisogna fare un tratto lungo di strada, chi sarà il portabandiera di questa risalita?

Mi rendo conto della difficoltà del compito. Per questo dobbiamo cambiare l’ordine del giorno. Essendoci dedicati con grande enfasi alla fase distruttiva, non abbiamo messo ancora un mattone di quella costruttiva. Preferisco correre il rischio di vaneggiare su culture politiche che sembrano desertificate piuttosto che attenermi ad un copione che sta producendo un danno ora e alle future generazione.

Parliamo della bolla piccola. Che succederà dopo le elezioni europee?

Premesso che questa partita la gioco in trasferta, sento anch’io questo clima da 8 settembre per cui chiuse le urne ci sarà uno sconquasso che determinerà la fine del governo e forse anche della legislatura. Non mi sento di dare per scontato un esito simile. I Cinquestelle sono in caduta libera e ciò induce ad aggrapparsi con ancora più forza al relitto del governo. Che d’altra parte Salvini si smarchi per vestire i panni del leader canonico di una destra tradizionale, non fa i conti con tutte le volte che Salvini al contrario ha gettato benzina sul fuoco dell’incendio populista. Affidare la realizzazione di un sistema politico di un Paese normale ad un signore che ha fatto del suo meglio per connotarsi come massima espressione populista, mi pare molto improbabile. Salvini ha scommesso sul fatto che la temperatura dell’Italia resti altissima...

Perciò tutti coloro che immaginano la riedizione del centrodestra a trazione salviniana...

Vaneggiano. Trovo singolare che Berlusconi, che del centrodestra ha il copyright e nel ’ 94 si è fatto forte del fatto di non avere alcun confine alla sua destra, immagini di metterlo oggi quando tutti sappiamo che alla fine si acconcerà ad una trattativa da subalterno con un Lord Protettore.

E il Pd? Come giudica Zingaretti?

Il Pd sta è incamminato sulla riscoperta di una radice di sinistra tranquilla, tradizionale, ricostruttiva. Un progetto politico non così esplicitato ma palese, che scommette sull’identità. Il Pd sarà la forza canonica del socialismo europeo. Il campo di destra è fin troppo affollato, l’area di protesta è ancora molto ampia. Per quel che mi riguarda resta un’area di opinione, non di sinistra ma indisponibile a intrecci a destra, che corrisponde ad un sentimento che esiste ancora. In una situazione dove le cultura politiche tornano a giocare un ruolo, c’è spazio anche per quella cultura lì.

Chiuderei su un tema che ritengo davvero decisivo: la diminuzione delle diseguaglianze.

Beh, intanto a sinistra si riparla di patrimoniale: più o meno siamo lì. Il discorso a mio avviso è duplice. Dobbiamo da un lato accorciare le distanze tra segmenti sociali che tendono a disarticolarsi e dall’altro attraverso la politica ridare un senso allo stare insieme delle persone. Nel dopoguerra si è fatto questo. E’ tempo di riconnettere le persone tra di loro, e l’unica maniera per farlo è usare la politica. L’antipolitica prevede non solo il si salvi chi può ma sopratutto il teorema ognuno si salvi da solo.