La parabola politica del settantacinquenne presidente del Sudan, Omar Al Bashir, si è conclusa ieri con l’intervento delle Forze armate del paese africano. Un vero e proprio colpo di Stato, annunciato dal ministro della Difesa Ahmed Awad Ibn Auf. I militari hanno destituito Bashir, detenuto attualmente «in un posto sicuro» e arrestato anche diversi esponenti del governo.

Gli uomini in divisa, almeno nelle intenzioni dichiarate, deterranno il potere per due anni mentre dovrebbe essere formato un esecutivo di transizione fino ad elezioni democratiche. Sebbene incruenta, l’azione dei militari non è priva di conseguenze: il tenente generale ha annunciato la sospensione della Costituzione e la fine inevitabile del governo nazionale oltre a quelli locali. Sciolto anche il Parlamento, decretato il coprifuoco di un mese in tutto il paese e la chiusura di porti e aeroporti per 24 ore. L’epilogo del regime di Bashir, arrivato al potere con un altro golpe nel 1989, è arrivato, non solo per l’intervento dell’esercito, ma dopo le massicce proteste iniziate quattro mesi fa, causate dalla povertà e la mancanza di cibo e carburante, che hanno provocato la morte di almeno un centinaio di persone oltre all’arresto di migliaia di oppositori. La pressione popolare è stata alla fine decisiva: i manifestanti infatti hanno circondato per quattro notti la residenza del presidente nella capitale Khartoum.

Nonostante i festeggiamenti per la caduta del regime, la situazione rimane però molto tesa, la popolazione infatti sta rifiutando l’insediamento di un militare al posto di Al Bashir e si moltiplicano gli appelli a mantenere vivo un presidio di massa nei pressi del quartier generale delle forze armate.

Lo testimonia il proclama lanciato dall’Associazione dei professionisti sudanesi ( formata sette anni fa da 200 docenti), principali protagonisti della “rivoluzione” insieme alle donne di ogni estrazione sociale: «Chiediamo al nostro popolo di tutta la capitale e della regione circostante di recarsi immediatamente nell'area del sit- in e di non andarsene da lì fino alla nostra prossima comunicazione». Nella società sudanese è ancora troppo vivo il ricordo dei massacri compiuti da Al Bashir, a partire dal ferocissimo conflitto combattuto nelle regioni del sud, che alla fine si concluse con la fondazione del sud Sudan, fino alla crisi del Darfur con la persecuzione perpetrata nei confronti delle popolazioni di origine non araba e la morte di circa 400000 persone.