Senza lavoro, abbandonati a se stessi, uno è morto in circostanze ancora da chiarire e c’è una transessuale che, di fatto, è in isolamento e l’amministrazione penitenziaria non sa trovarle una sezione adeguata perché è l’unica internata trans d’Italia. Parliamo degli internati al carcere di Biella che al 13 marzo risultavano essere ben 27 (tra cui 6 sono stranieri), ora uno in meno perché martedì scorso è morto un ragazzo italiano di 33 anni e sarà l’esame autoptico programmato mercoledì pomeriggio per capirne le ragioni. La “casa lavoro” al carcere di Biella è stata inaugurata nel 2017, ma di fatto il lavoro non c’è e quindi, come il caso di Tolmezzo più volte affrontato da Il Dubbio, i magistrati non hanno gli strumenti per valutare la mancata pericolosità dell’internato e quindi diventa pressoché automatica la proroga per la misura di sicurezza. Ufficialmente non scontano una pena detentiva, perché hanno già pagato il loro conto con la giustizia. Per questo motivo, nel glossario del diritto penitenziario, vengono definiti “internati” per distinguerli dai “detenuti”. In sintesi, sono i reclusi che, dopo aver scontato una pena, non vengono liberati perché considerati ancora pericolosi. Secondo i dati risalenti al 2018, sono 330 gli internati sparsi in tutte le carceri. Alcuni sono internati in 41 bis, altri nelle sessioni normali dove ci sono i detenuti, altri ancora – e sono tanti - si trovano illegalmente internati nei penitenziari in attesa di trovare posto nelle Rems. Ma ritorniamo al caso riguardante il carcere di Biella. «Più volte ho attenzionato il ministero della Giustizia per risolvere il problema della mancanza di lavoro e trasferire gli internati in una struttura adeguata per loro», spiega a Il Dubbio la garante dei detenuti del comune di Biella Sonia Caronni. «Doveva esserci un progetto di sartoria - spiega la Garante -, c’è, ma in forma ridotta e gli internati che sono stati inviati in carcere non sono compatibili all’utilizzo degli strumenti richiesti dal laboratorio». Quindi il progetto lavorativo per gli internati è venuto a cadere. Cosa fare? «Ho provato qualsiasi strada – racconta la Garante-, ho provato a chiedere al Prap (Provveditorato regionale, l’organo decentrato del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, ndr) affinché si attivasse per trovare una struttura adatta, poi si è messo in moto il territorio che aveva individuato una struttura deputata all’accoglienza per le persone in misure alternative o a fine pena, che però a causa del fallimento di una cooperativa è stata messa all’asta». Ma una speranza si è accesa. C’è Caritas Biella disposta ad acquistarla, anche a seguito della conferenza stampa del 27 dicembre scorso organizzata dal Garante regionale Bruno Mellano. «La Caritas – sottolinea Sonia Caronni ha chiesto di mettersi in relazione con il ministeroper capire come strutturare questo modello, ma finora non c’è stata nessuna risposta». Il problema, nonostante che il territorio piemontese e diverse realtà sociali si sono messe in moto, rimane con tutte le criticità che rischiano di lasciare a se stessi gli internati, dove alcuni di loro hanno anche evidenti problematiche di carattere psichiatrico, con l’aggiunta che c’è una internata transessuale che si è fatta 360 giorni di isolamento perché non si sapeva come gestirla, visto che non può, per ovvie ragioni, stare insieme agli altri. «Solo da poco è stata trovata una sistemazione in infermeria – spiega sempre la Garante -, ma si trova, di fatto, isolata da tutto il resto». È stato richiesto al Dap una sua sistemazione presso qualche sezione per trans, ma non è una detenuta ed è il primo caso di internata transessuale.