È detenuto nel carcere di Parma, vive in carrozzina perché ha una grave disabilità e convive con dolori atroci che possono essere solo affievoliti con il Bedrocan, la cannabis terapeutica. Ma la direzione del carcere non può procurargli il medicinale perché il detenuto non è residente in Emilia Romagna e lui non ha soldi per comprarselo, visto che costerebbe mille euro al mese. Gli unici medicinali che gli vengono somministrati sono gli oppiacei, ma non servono a nulla.

«Io sono peggiorato anche perché sti farmaci mi addormentano la vescica e provocano stitichezza... ho perso 25 kg in sei mesi sul letto senza fare un giorno di fisioterapia. Soffro giorno e notte, mentre quando prendevo il Bedrocan ero riuscito a prendere peso e ad alleviare il dolore... mi toglieva gli spasmi e, abbassando gli oppiacei, non avevo più stitichezza», così scrive Vito Quinci in una lettera indirizzata a Rita Bernardini del Partito Radicale, lei che con la sua delegazione ha potuto anche conoscerlo durante una visita al carcere di Parma. Un carcere conosciuto per aver ospitato al 41 bis boss dal calibro di Totò Riina, ma anche Bernardo Provenzano e tanti altri detenuti – con età avanzatissima - al carcere duro. Ma per Vito il dramma è maggiore. Ha 42 anni e deve scontare una lunga pena che dovrebbe finire nel 2032. È stato condannato per l’articolo 74, associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Un dramma, perché con la lettera denuncia che nel carcere di Parma non ha una cella accessibile alla carrozzina, non ha il piantone che lo aiuti e per due volte è caduto rovinosamente per andare in bagno. A questo, come denuncia nella lettera indirizzata al Partito Radicale, si aggiunge il fatto che non gli fanno fare la prescritta fisioterapia né tantomeno la idrokinesiterapia, una terapia che si basa sul movimento in acqua caldo sfruttando il suo effetto antidolorifico. Il suo problema, grave, di salute è ben descritto dal diario clinico redatto dalla Asl di Parma. Una patologia che per il medico del servizio sanitario locale rende il detenuto del tutto incompatibile con la struttura penitenziaria dove è recluso. Nel diario clinico si legge che il detenuto «è assolutamente incompatibile con i nostri Istituti» e che «stante l’attuale situazione e permanendo il paziente nella attuale allocazione, ogni peggioramento delle sue condizioni cliniche e, nello specifico neuro- motorie e muscolari, non potrà in alcun modo essere addebitato a questo ufficio sanitario».

In realtà, Vito Quinci, aveva avuto nel passato la possibilità di usufruire del differimento pena, ma se l’è bruciata perché la polizia l’ha scovato che coltivava 80 piante di marjuana. Il motivo è legato proprio alla terapia. Come già detto, ha bisogno del Bedrocan, ma la Regione non glielo fornisce e quindi si è arrangiato con il “fai da te”, situazioni che hanno coinvolto tante altre persone che, soffrendo di patologie simili e non avendo soldi sufficienti per comprare la cannabis terapeutica, se la sono coltivati da soli. Ma il “fai da te”, è appunto illegale. Non a caso, sempre nella lettera indirizzata a Rita Bernardini, il detenuto cita Andrea Triscuglio dell’associazione Lapiantiamo che da anni lotta per porre la questione dell’accesso alla cannabis terapeutica per migliaia di malati in Italia. Vito non ce la fa più e ha intrapreso uno sciopero della fame per sensibilizzare le istituzioni affinché intervengano per migliorare la sua situazione e magari procurargli il Bedrocan. «Sono al limite delle forze – scrive sempre nella lettera indirizzata a Bernardini del Partito Radicale – e non so se farò un gesto estremo, chiedo il vostro aiuto in nome di Marco Pannella che si batteva per i malati come me che hanno bisogno di questo farmaco e delle cure necessarie».