«Nel marzo 2007, poco prima di entrare nel carcere di Santa Maria a Capua a Vetere per espiare la pena per la condanna definitiva - ha detto Bruno Contrada – venni qui alla Procura di Caltanissetta, accompagnato dai miei legali, per presentare un esposto querela di circa 80 pagine, con un centinaio di allegati accusando criminali mafiosi pentiti, ufficiali dei carabinieri, funzionari di polizia, facendo nomi e cognomi. È tutto documentato dove si provava in maniera inconfutabile che c'era stato un tentativo di depistaggio nelle indagini sulla strage di via D'Amelio utilizzando la mia persona per colpire il sisde». E ha aggiunto: «Ma tutto è stato archiviato dall’allora procura di Caltanissetta, tranne un filone di questa inchiesta che era seguito dal pm Luca Tescaroli, che fu poi inviata a Catania per competenza». Ma non solo. «Avremmo fatto una indagine sulle famiglie dello schieramento predominante, cioè i corleonesi – ha detto sempre Bruno Contrada -, al fine di agevolare il loro lavoro investigativo, in primo luogo la famiglia dei Madonia e poi i Galatolo».

Per la strage di via D’Amelio, l’ex numero tre dei servizi segreti civili Contrada, se avesse avuto la possibilità, avrebbe quindi svolto indagini nei confronti dei Madonia, a differenza delle indagini che poi vennero indirizzate verso Scarantino, il falso pentito della Guadagna, con il quale nonostante tutti i dubbi emersi su di lui «avrebbero - come si legge nelle motivazioni del Borsellino Quater - logicamente consigliato un atteggiamento di particolare cautela e rigore nella valutazione delle sue dichiarazioni, con una minuziosa ricerca di tutti gli elementi di riscontro, positivi o negativi che fossero» . Ma le indagini di supporto non le ha potute portare a compimento, come inizialmente si era prefissato, anche perché non aveva acquisito ancora elementi certi. Da ricordare, anche, che a distanza di 5 mesi dall’attentato, ovvero alla vigilia di Natale del 1992, viene arrestato con l’accusa di “concorso esterno in associazione mafiosa” sulla base delle dichiarazioni di quattro pentiti di mafia. Uno dei quattro era Gaspare Mutolo, perseguitato e fatto condannare a nove anni per estorsione proprio dallo stesso Contrada quando era capo della squadra Mobile di Palermo.

È un fiume in piena Bruno Contrada, ascoltato ieri come teste durante il processo di Caltanissetta nei confronti dei tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex appartenenti del ' Gruppo Falcone- Borsellino' che indagò sull'attentato. «Ho avuto una conversazione con il Procuratore di Caltanissetta Tinebra il 20 luglio 1992 - ha detto Contrada -, lui mi chiese di contribuire alle indagini, ma tra le varie cose che gli prospettai e le varie obiezioni che avevo fatto alla sua richiesta di collaborare alle indagini, la cosa principale era che non ero più nella polizia giudiziaria.

Avevo anche obiettato che non avrei intrapreso nessuna attività sul piano informativo, perché quello era il mio compito, se non d'intesa con gli organi di polizia giudiziaria interessati, sia della Polizia che dei Carabinieri» . E pochi giorni dopo ci fu l'incontro, come risulta anche dall'agenda che Contrada ha portato in aula, con i vertici di Polizia e Carabinieri a Palermo. «Infatti ci fu l'incontro, per la Polizia, con l'allora dirigente della Squadra La Barbera e successivamente l'incontro con il maggiore Obinu dei Carabinieri», racconta ancora Contrada. «A La Barbera dissi che non avrei fatto nulla per accavallare le indagini - spiega Contrada al pm Stefano Luciani dissi che avrei svolto un'attività che non potesse disturbare le loro indagini, gli spiegai quello che noi come Servizi segreti potevamo fare per contribuire, nei limiti del possibile, alle indagini sulla strage». Contrada ha spiegato che era l'unico in quell'ambiente che aveva conoscenza di cose e uomini di mafia, visto la sua lunga permanenza di servizio a Palermo.