Chi lo conosce bene lo descrive come uomo di notevole pazienza e massima resilienza, capace di incassare a lungo senza fare una piega, ma anche un tipo che, una volta superato il punto limite, può trasformarsi nell'opposto esatto. Negli ultimi giorni quel punto limite Giovanni Tria potrebbe averlo superato. Probabilmente l'attacco personale spregiudicato che ha coinvolto il figlio di primo letto della moglie, con l'obiettivo di colpire indirettamente il ministro prendendo di mira la sua consigliera Claudia Bugno è la classica goccia che fa traboccare una misura già colma ma sullo sfondo c'è molto di più. Ci sono mesi di intemerate contro di lui e contro i funzionari del suo ministero, più volte presi di mira dagli stessi colleghi ministri a cinque stelle. Ci sono smentite delle sue posizioni che lo hanno portato oltre il confine della delegittimazione ed esposto a figure a dir poco imbarazzanti, come quando nel novembre dell'anno scorso dovette abbandonare di corsa la riunione Ecofin in corso a Bruxelles per tornare precipitosamente a Roma dopo essere stato sottoposto, il giorno prima a un vero e proprio processo da parte dei ministri europei. Principale capo d'accusa: una legge di bilancio molto diversa da quella che il ministro dell'Economia avrebbe voluto e sulla quale si era pubblicamente impegnato con la Commissione europea.

Sin da quando si è insediato in via XX Settembre, indicato da un Paolo Savona costretto a rinunciare al ruolo per il veto del Colle, Giovanni Tria, docente di Economia politica a Tor Vergata, si è trovato in una situazione paradossale: quella di chi ha di fatto in mano la sopravvivenza del governo ma proprio per questo si trova continuamente sottoposto a una sorta di ricatto morale permanente. Tria rappresenta, con il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, il punto di riferimento del Quirinale nel governo. Ne è, in un certo senso, il garante anche agli occhi dell'Unione europea. Se nel corso delle frequentissime tensioni con gli azionisti di maggioranza dell'esecutivo, la Lega ma soprattutto il Movimento Cinque Stelle, avesse scelto di passare la mano e dimettersi, probabilmente Moavero lo avrebbe seguito. In ogni caso la reazione dei mercati sarebbe stata tempestosa e l'ombrello del Colle si sarebbe di fatto chiuso lasciando il governo allo scoperto. La crisi sarebbe stata inevitabile.

Proprio questa posizione, in apparenza di massima forza, ha invece legato le mani al ministro dell'Economia, perché una cosa è lasciare un ministero, tutt'altra assumersi la responsabilità di provocare una crisi al buio pesto in un frangente di massimo rischio per il Paese. E' probabile che in alcune circostanze Tria sia stato tentato dall'idea delle dimissioni ma senza mai arrivare neppure a minacciarle seriamente.

Colpo su colpo, la pazienza si è però esaurita e Tria ha deciso di sfruttare la postazione nevralgica che si è trovato a occupare, vero perno degli equilibri del governo, per giocare in attacco. Nell'intervista rilasciata ieri al Corriere della Sera lo dice esplicitamente: «Se andassi via, quale sarebbe la reazione dei mercati?». Più che una minaccia sembra una sfida. Su alcuni punti essenziali stavolta Tria non ha intenzione di cedere. Se M5S chiuderà l'assedio nel quale è impegnato in modo sempre più stringente e lo costringerà alle dimissioni evitare la crisi sarà quasi impossibile. Moavero si dimetterebbe a propria volta. I ponti con il Quirinale crollerebbero La reazione dei mercati sarebbe devastante.

La natura del braccio di ferro, però, resta in buona parte circondata dalle nebbie. Sul caso della consigliera Claudia Bugno, Tria, sostenuto dalla Lega e grazie alla mediazione di Conte, la ha già spuntata. La consigliera resterà in via XX settembre. Molto più spinosa la vicenda dei rimborsi per i risparmiatori truffati dalle banche da in serie nel decreto crescita. Su quel fronte la Lega, che non si è mai associata all'assalto pentastellato e al contrario ha di fatto blindato il ministro, concorda con Di Maio: ma senza un pronunciamento della magistratura Tria non intende firmare. Soprattutto per questo si era diffusa ieri mattina la voce di uno slittamento della presentazione del decreto, poi smentita dal Conte che, da Ankara, ha confermato l'appuntamento per domani pomeriggio. Però lasciando capire che il passaggio sui rimborsi potrebbe non esserci: lo scontro è ancora in corso. La commissione d'inchiesta sulle banche potrebbe poi diventare un casus belli di prima grandezza, con Tria che concorda in pieno col in Quirinale, ma in realtà anche con la Lega, sull'assoluta inopportunità di trasformare la commissione in un tribunale popolare contro l'intero sistema italiano del credito. Ma questa è storia di domani, dl momento che la Lega ha tutte le intenzioni di rinviare la partenza della commissione a dopo le europee, mentre il braccio di ferro tra Mef e M5S sull'uso dei fondi della Cassa depositi e prestiti è già in corso, sia pur se sotto traccia.

Ma nessuna di queste frizioni basta a giustificare la carica dei 5S contro il perno sul quale si centra l'esistenza stessa del governo. In parte a determinare una situazione così esplosiva la somma dei diversi fattori, più le tensioni e le diffidenze accumulatesi sin da settembre, quando Tria si diceva pronto a rispettare gli impegni sul deficit assunti dal precedente governo. Ma soprattutto è la consapevolezza del fatto che lo scontro con la Ue evitato per un soffio l'anno scorso ha forti probabilità di esplodere dopo le europee, con l'avvicinarsi della prossima legge di bilancio.

Due giorni fa, a Roma, Juncker è stato delicatissimo, quasi mellifluo, salvo poi sparare a palle incatenate poche ore dopo aver esaltato il ' grande amore' tra Roma e Bruxelles. E' probabile che in privato sia stato meno lieve e siano state usate parole proibite in pubblico: procedura d'infrazione per debito eccessivo dietro l'angolo, manovra correttiva da 9 mld in giugno come unica garanzia di non incappare nella procedura. Quel rischio di procedura d'infrazione, che minaccia di travolgere non il governo e la legislatura ma l'intero sistema economico, stavolta Tria non è disposto a correrlo.