L’equo compenso torna al centro del dibattito per una valutazione di efficacia e un “tagliando” di rafforzamento, dopo poco più di un anno dalla sua entrata in vigore. Obiettivo del sottosegretario alla Giustizia, Jacopo Morrone ( che ha organizzato un tavolo ad hoc con i rappresentanti delle professioni): L’intento è quello di «contrastare lo svilimento a livello economico» dei professionisti e di migliorare l’attuale disciplina.

Per farlo, i vertici di ogni Ordine convocato hanno nominato un esperto in materia, attraverso il quale formulare suggerimenti e proposte emendative.

Al tavolo è presente anche il Consiglio Nazionale Forense, che da oltre un anno ha istituito un Nucleo di monitoraggio sulla corretta applicazione dell'equo compenso. Grazie anche a questo strumento, il vertice dell’avvocatura ha potuto constatare come la disciplina registri alcune criticità, che sono state segnalate al sottosegretario.

L’applicazione della disciplina è limitata dal punto di vista soggettivo alle imprese di grandi dimensioni secondo la normativa Ue, alle banche e alle assicurazioni.

Questo taglia fuori le imprese medie e piccole, che nel panorama italiano sono la maggior parte e che, comunque, dovrebbero essere considerate “contraenti forti” rispetto all’avvocato. L’auspicio, dunque, è che il legislatore agisca dal punto di vista normativo per ricomprendere nella platea cui la normativa è riferita tutti i soggetti, ad esclusione eventualmente di quelli che possono essere classificati come consumatori secondo il codice vigente.

I contraenti forti tendono a restringere il campo di applicazione dell’equo compenso attraverso il richiamo testuale alle “convezioni”. Tali contraenti, infatti, fanno preferibilmente ricorso a moduli diversi - contratti ad hoc e incarichi singoli - rispetto alle convenzioni in senso stretto, ritenendo che questi rapporti diversi dalle “convenzioni” non siano sottoposti all’equo compenso. Sarebbe dunque necessario chiarire nel testo di legge che nel concetto di “convenzione” rientra qualsiasi tipo di contratto di prestazione professionale.

In riferimento ai rapporti con la pubblica amministrazione, la normativa in vigore utilizza la formula generica di un obbligo per la Pa di “garantire il principio” dell’equo compenso. Tale dicitura, però, ha lasciato spazio alle amministrazioni pubbliche per disattendere la legge. Basti pensare al caso recente del bando del Mef - poi ritirato destinato a professionisti ma “a zero compensi”. Andrebbe ribadito in modo chiaro che il principio dell’equo compenso non è limitato al settore privato, ma riguarda anche la pubblica amministrazione.

Il testo vigente ha dato adito a dubbi in ordine alla sua applicazione anche a rapporti pregressi o ancora in corso, instaurati precedentemente all’introduzione della disciplina. Andrebbe chiarito, quindi, il fatto che la normativa sull’equo compenso deve essere applicata a tutti i rapporti professionali i cui effetti non sono ancora esauriti. Qualsiasi rapporto, anche se instaurato prima del novembre 2017, purché ancora efficace, cade sotto il regime dell’equo compenso.

Infine, il Consiglio Nazionale Forense ha auspicato la possibilità di rivedere il catalogo delle clausole vessatorie, in particolare - ad esempio - quelle che determinano espressamente il valore della prestazione in modo difforme al decreto ministeriale n. 55/ 2014 ( in materia di parametri ministeriali forensi).

Dopo il primo incontro di martedì 2 aprile, l’intento ministeriale è quello di procedere con il tavolo ad hoc, dove tutte le categorie professionali potranno formulare operativamente i loro dubbi e le proposte di modifica. Nel segnalare i propri rilievi, il Consiglio Nazionale Forense ha ribadito come l’attuale normativa sull’equo compenso abbia mostrato limiti dal punto di vista applicativo.

L’auspicio, dunque, è che sia possibile prevedere un impegno del governo già nel Def 2019 per un rafforzamento della norma, in linea con le richieste delle professioni.