La Lega alla Camera sceglie di sostenere l’ordine del giorno di Fratelli d’Italia ( identico a quello ritirato il giorno prima dallo stesso Carroccio) e il Movimento 5 Stelle vota contro, insieme al Pd e Forza Italia. «Siamo sconcertati e dispiaciuti dal voto Cinque stelle con Pd e FI contro la castrazione chimica», reagiscono i deputati con la spilla di Alberto da Giussano sulla giacca. «Si tratta di una norma applicata in altri paesi per limitare la violenza di pedofili e stupratori», aggiungono. I pentastellati non si scompongono, ascoltano le esternazioni dell’alleato e poi rivendicano: «Il Movimento 5 Stelle è rimasto coerente: per noi la castrazione chimica non può essere una soluzione», spiegano alcuni parlamentari. «Riguardo al voto in Aula, se si è trattato di “verificare” una maggioranza alternativa, il tentativo è fallito. Appare evidente che il centrodestra non esiste più, neanche su questi temi».

La castrazione chimica è solo l’ultimo pretesto per dividersi. Perché Movimento 5 Stelle e Lega, nelle ultime settimane, più che alleati di governo sembrano avversari politici pronti a farsi la guerra quando in gioco ci sono i diritti civili. Che si tratti di concedere la cittadinanza italiana a un ragazzino di origini egiziane scampato a un attentato, di impedire la diffusione incontrollata di armi o di dissociarsi da un congresso ultraconservatore dedicato alle famiglie, per Luigi Di Maio l’unica cosa che conta è differenziare l’offerta politica del suo partito da quella del Carroccio. La campagna elettorale per le europee è appena cominciata, del resto, e per il M5S c’è solo un modo di fermare l’emorragia di consensi certificata dai sondaggi: convincere gli elettori di sinistra a non farsi tentare da Nicola Zingaretti.

Così, sulla castrazione chimica, i grillini non fanno una grinza davanti alla scelta della Lega di sostenere l’ordine del giorno di Fratelli d’Italia ( identico a quello ritirato il giorno prima dal Carroccio): in Aula il Movimento vota contro il provvedimento, insieme al Pd e Forza Italia. «Siamo sconcertati e dispiaciuti dal voto Cinque stelle con Pd e FI contro la castrazione chimica», reagiscono i deputati con la spilla di Alberto da Giussano sulla giacca. «Si tratta di una norma applicata in altri paesi per limitare la violenza di pedofili e stupratori». Sul tema dice la sua anche e la ministra salviniana della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno, autrice del testo poi ritirato dai leghisti per dare «massima priorità» al Codice rosso. «Sulla castrazione chimica si tornerà non appena verrà elaborato un disegno di legge all’avanguardia che spieghi cosa è, e le conseguenze di chi compie atti violenti contro le donne», chiarisce Bongiorno. Ma il passo indietro è solo momentaneo, lascia intendere la ministra.

I pentastellati non si scompongono, ascoltano le esternazioni dell’alleato e poi rivendicano: «Il Movimento 5 Stelle è rimasto coerente: per noi la castrazione chimica non può essere una soluzione», spiegano alcuni parlamentari. «Riguardo al voto in Aula, se si è trattato di “verificare” una maggioranza alternativa, il tentativo è fallito. Appare evidente che il centrodestra non esiste più, neanche su questi temi», mugugnano alcuni deputati, puntando il dito sulla manovra salviniana volta a sondare il comportamento dei forzisti davanti all’eventualità di mettere in difficoltà i 5Stelle. La diffidenza tra i “sottoscrittori” del contratto di governo registra il suo massimo storico. E quel «qui comando io» che Salvini avrebbe urlato in faccia a Giuseppe Conte domenica scorsa ( poi timidamente smentito) potrebbe aver cambiato definitivamente i rapporti di forza in seno all’esecutivo, determinando, per reazione, un esito opposto a quello sperato dal ministro dell’Interno. È come se Di Maio e Casaleggio si fossero improvvisamente resi conto di aver concesso troppo al titolare del Viminale in questi primi nove mesi di convivenza - dai porti chiusi, all’immunità, passando per la legittima difesa - lasciando all’alleato/ avversario la libertà di prendersi completamente la scena. E per invertire la rotta ogni occasione è buona.

«Con la Lega su questo ( sul tema dei diritti, ndr) non c'è una ' divisione', ci sono differenze. E sono autentiche», sottolineava ieri dalle colonne di Repubblica il sottosegretario agli Affari regionali M5S, Stefano Buffagni. «Sui diritti abbiamo detto, da sempre, che non bisogna tornare indietro. La donna va difesa non solo riguardo alle violenze, ma tutelando il valore aggiunto che dà alla società. In manovra abbiamo dato seguito agli impegni presi, ma il pacchetto famiglia nel decreto crescita andrà oltre». Del resto poche ore prima era stato il collega di partito Vincenzo Spadafora ad «archiviare» senza appello un altro provvedimento caro al Carroccio: il ddl Pillon. Il tutto in un crescendo di punzecchiature che ha raggiunto il suo apice nei giorni del congresso delle famiglie di Verona, animato, secondo Di Maio, da «una destra degli sfigati». Una destra di sfigati che però invita sul palco a parlare il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Pazienza, «a Verona ci sono dei fanatici che affrontano il tema della famiglia con stile medievale e con odio, lì la madre non è considerata una donna, lì c’è chi vuole negare i diritti degli altri», è la sentenza del capo politico pentastellato.

La luna di miele tra alleati volge al termine. Elezioni e manovre correttive all’orizzonte impongono una virata a entrambi i leader di maggioranza.