Non ci si lasci ingannare dalla rissosità cronica della politica italiana: l'attacco di M5S al ministro dell'Economia degli ultimi giorni non rientra affatto nella norma. Insinuare il sospetto di uno scambio di favori tra il ministro e la sua consigliera Claudia Bugno, per l'assunzione del figliastro del ministro in un'azienda di cui è ad il compagno della consigliera, urlare che Tria «deve un chiarimento al Paese e all'M5S», ripetere che forse il ministro è portato sulla cattiva strada dai consigli della Bugno è un metodo, comunque disdicevole, che si adopera contro i nemici giurati. Non era mai capitato che un partito della maggioranza sfoderasse armi simili contro un ministro del governo che detta maggioranza sostiene.

A giustificare il fuoco ad alzo zero contribuiscono diversi fattori: la preoccupazione del ministro per lo stato dei conti pubblici, le dichiarazioni in controtendenza rispetto all'intero governo sul rischio di recessione, la resistenza a dare il semaforo verde per i rimborsi ai risparmiatori truffati, passaggio decisivo in campagna elettorale sia per M5S che per la Lega. Ma l'elemento che ha scatenato l'offensiva è probabilmente la difesa esplicita del sistema bancario e di fatto la sconfessione anticipata dell'uso che il Movimento intende fare della commissione parlamentare d'inchiesta sulle banche. Su quel fronte, infatti, domenica scorsa Tria non l'ha mandata a dire e ha messo da parte ogni artificio diplomatico, sino ad accusare tra le righe i 5S di fare il gioco dell'Europa contro l'Italia: «Attaccare il sistema del credito italiano, mettere in dubbio la sua solidità ma anche la sua resilienza e porre un sospetto su questo significa avallare una delle campagne europee che ci stanno attaccando e mettendo in difficoltà».

Sarà pura coincidenza se le parole di Tria riflettono sin nei particolari i timori del capo dello Stato, illustrati ai presidenti delle Camere alla vigilia della promulgazione della legge che istituisce la commissione d'inchiesta e poi messi neri su bianco con massima puntigliosità da Mattarella il giorno dopo, nella lettera contestuale alla promulgazione? Sarà un caso se a incaricarsi di bastonare con un video diffuso su YouTube è stato proprio il senatore a cinque stelle candidato dal Movimento, con fortissimi dubbi della Lega, a presiedere la commissione, Gianluigi Paragone? La commissione, che non si sa ancora quando inizierà i lavori e da chi sarà presieduta è pietra dello scandalo e linea di demarcazione anche all'interno della maggioranza prima ancora di essere davvero istituita.

La durezza dell'assalto lanciato contro Tria rivela quanto acerrimo potrebbe diventare lo scontro non solo con la Lega, che sulla commissione è in realtà molto più vicina alle posizioni del ministro che a quelle del giornalista- senatore candidato a dirigere l'inchiesta, ma anche con le istituzioni, avendo la presidente del Senato Casellati già affermato di condividere in toto le preoccupazioni di Mattarella mentre il presidente della camera Fico è comprensibilmente più prudente.

La partita ha in realtà due aspetti distinti, entrambi considerati da allarme rosso sul Colle. La commissione istituita nella scorsa legislatura si era conclusa con una relazione all'acqua di rose del presidente Casini ma dopo un percorso ad alto tasso di drammaticità, con tanto di mozione di sfiducia del Pd renziano contro il governatore di Bankitalia Visco accusato di non aver vigilato come d'obbligo sulle banche arrivate poi al fallimento o salvate dal governo. La nuova commissione intende ripartire da dove aveva dovuto concludere i lavori quella precedente. Ma se da un lato è evidente che i controlli di Consob e Bankitalia sono stati a dir poco carenti, è altrettanto evidente che riportare il governatore della Banca centrale ( e magari anche quello della Bce) sul banco degli imputati renderebbe la Banca d'Italia infinitamente più esposta alle pressioni del potere in un momento in cui è prevedibile che quelle pressioni, alle prese con una finanziaria da incubo, tocchino il picco almeno da qualche decennio.

Ma sul fronte dell'indipendenza di Bankitalia il nuovo direttorio dovrebbe rappresentare un bastione quasi inespugnabile. Il governo ha ottenuto una vittoria di facciata con la dipartita di Salvatore Rossi dalla direzione generale, passaggio che ha sbloccato la situazione permettendo a Salvini e soprattutto a Di Maio di rivendicare la ' discontinuità' nel direttorio. Ma la promozione a direttore generale di Fabio Panetta, l'arrivo di Alessandra Perrazzelli e Daniele Franco e la probabile conferma imminente di Lamberto Signorini costituiscono un rafforzamento secco del direttorio e dunque di Visco.

Più delicato il secondo problema che le attività della commissione potrebbe determinare. Il sistema bancario è allo stesso tempo quello che garantisce i maggiori dividendi in termini di propaganda solo a bersagliarlo e il vero fianco esposto del Paese. Una campagna di delegittimazione in grande stile, a base di accuse come quella lanciata ieri contro Tria per intendersi, fondata sul sospetto, avrebbe effetti deflagranti su un sistema come quello del credito, che è già il vero punto debole del Paese.

Intorno al nodo della commissione si sono già scomposte e ricomposte alleanze, con la Lega vicina al ministro, e in questo caso al Quirinale, e i soci a cinque stelle sul fronte opposto. Il primo, ma certo non l'ultimo braccio di ferro, si svolgerà sul nome del presidente della commissione. Sulla candidatura Paragone, che garantirebbe una commissione a deflagrante effetto mediatico, Di Maio non intende mollare e probabilmente non lo farà. La Lega, per ora, mira soprattutto a far slittare la partenza a dopo le europee, sia per sottrarre ai 5S l'arma propagandistica prima del voto sia perché prevede che a urne chiuse disporrà di ben maggior potere contrattuale. Ma se la legislatura sopravvivrà abbastanza gli sul nome del presidente e sui tempi della commissione saranno solo un quasi insipido antipasto.