Alla fine si è arrivati al raro miracolo dell’unanimità: l’emendamento che introduce il reato di “revenge porn” è approvato dall’aula di Montecitorio senza alcun voto contrario (e 461 sì).

Fatto raro in materia di giustizia. Fatto ancor più inatteso viste le premesse della vigilia, che vedevano, nell’ordine: la maggioranza restia a “liofilizzare” una norma che al Senato è prevista in un testo più ampio; le opposizioni furibonde, Laura Boldrini in testa, per le resistenze di Lega e cinquestelle; gli uomini di Salvini concentrati sulla proposta di “castrazione chimica” per chi è accusato di violenza sessuale; il caos inevitabile per la legge sul “codice rosso”. E invece con un colpo di scena, inedito per questa legislatura, maggioranza e opposizione si trovano unite proprio sul terreno arroventato della giustizia penale. Sorpresa e lieto fine completati dalla rinuncia dei leghisti alla “castrazione chimica”, annunciato da Giulia Bongiorno: «La riproporremo in un ddl autonomo, adesso è giusto mandare avanti il governo e soprattutto la legge sulle violenze di genere», dice la ministra.

Il passaggio è di quelli destinati a segnare la legislatura, per più di un motivo. Si tratta di uno dei pochi casi di condivisione ampia, anzi totale. Ma il dato rilevante è anche nell’attenzione all’uso distorto del web. Materia finora guardata con prudenza dalle Camere. Sarà dunque punibile con pena da 1 a 6 anni di reclusione la diffusione di video e foto “sessualmente espliciti”, senza il consenso della persona interessata, a fini ricattatori, denigratori o come forma di “ritorsione affettiva”. E soprattutto, viene data sostanza a una «battaglia di civiltà» così testualmente e coralmente definita da Boldrini, Meloni e Salvini: altro dato imprevedibile.

Nel settembre 2017, il contrasto all’uso della rete come pratica quotidiana dell’odio era stato oggetto del primo G7 dell’avvocatura, celebrato proprio in Italia su iniziativa del Consiglio nazionale forense italiano. Con la norma inserita ieri nel testo del ddl sul “Codice rosso”, sarà punibile chiunque diffonde «immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate». La pena della reclusione «da uno a sei anni» ( a cui si aggiunge la multa da 5mila a 15mila euro) è modulata secondo uno spettro ampio anche per lasciare la possibilità di applicare le diverse circostanze aggravanti: la pena «è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa» ; e una misura tendenzialmente più severa della sanzione è in ogni caso prevista «se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici», quindi in tutti i casi in cui i video o le foto hard finiscono in rete. È punito anche chi diffonde a sua volta il materiale dopo che altri lo hanno “postato”. Si tratta di un reato a querela della persona offesa, ma non quando a essere danneggiata è una persona «in condizione di inferiorità fisica o psichica» o è una donna in gravidanza: in tali casi si procede d’ufficio, con aumento della pena di un terzo. Che sia un provvedimento dal valore anche simbolico lo attesta il fatto che persino il premier Giuseppe Conte parla di «bella testimonianza da parte di una nostra fondamentale istituzione». Il presidente della Camera Roberto Fico si dichiara «soddisfatto» per il «segnale molto positivo» di un Parlamento capace di «trovare la sintesi su temi delicati».

Tecnicamente l’emendamento integra il ddl sul “Codice rosso” per le indagini relative alle violenze di genere ed è presentato dalla deputata cinquestelle che di quel provvedimento è relatrice in aula, Stefania Ascari. Ma anche una nota ufficiale del Movimento parla di intervento «condiviso con le altre forze politiche». Ed è giusto infatti considerarla una modifica dell’intera commissione Giustizia, che ha esaminato il Codice rosso e dove siede la deputata azzurra Federica Zanella, autrice de primo emendamento sul revenge porn. La rappresentante di FI plaude alla «bella pagina del Parlamento». La stessa presidente della commissione, Francesca Businarolo, anche lei del M5s, si dichiara felice per la scelta «condivisa da tutti». E anche i pentastellati che, come Elvira Evangelista, a Palazzo Madama avevano già incardinato un testo più ampio, con «regole per internet e i social», mettono da parte le ansie da primogenitura e promettono che in Senato ci sarà comunque un approfondimento della materia. Il risultato è dunque frutto di rinunce che ciascuno ha accettato di fare. Compresa la Lega, che rivendica anche col capogruppo a Montecitorio, Riccardo Molinari, la linea «responsabile», che «manda avanti il governo».

Fosse stata in vigore all’epoca dei video hard che spinsero al suicidio Tiziana Cantone, «i responsabili si sarebbero guardati bene dal metterli in rete», nota con più d’un velo di amarezza Roberta Foglia Manzillo, l’avvocata che difese la 32enne morta nel 2016. «Tuttora ci si deve rivolgere alla diffamazione, che prevede pene più lievi», nota. C’era un vulnus grave nell’ordinamento, e stavolta l’introduzione di nuovo reato non pare una ridondanza.