La legge sul Codice rosso, cioè la corsia preferenziale per le indagini sulle violenze di genere, ha un tratto che la distingue da altri interventi sulla giustizia: non sarà la bandiere né della Lega né dei cinquestelle, ma frutto di una convergenza, seppur segnata da qualche tensione. Se la legittima difesa è di Salvini e la spazza corrotti di Bonafede e Di Maio, stavolta il guardasigilli ha lavorato in sintonia con una ministra del Carroccio, Bongiorno, che fin dall’inizio ha spinto per il ddl. Ma l’armonia vacilla per la castrazione chimica, voluta dalla Lega e respinta dai pentastellati. Un contrasto dalle conseguenze forse non irreparabili ma ancora poco chiare, attestato da dichiarazioni diffuse in queste ore proprio da Bongiorno e Bonafede. La prima dice «non voglio castrare nessuno» e di essere per la pesante misura «come lo è la commissione anti- tortura del Consiglio d’Europa, cioè a tre condizioni: che il reo lo accetti, che ci sia il consenso informato, che il trattamento non sia irreversibile». Il ministro della Giustizia ribatte: «Mi interessa che lo stupratore vada in carcere, non che possa uscire dopo la cosiddetta castrazione chimica». Non cadrà il governo ma la sintesi è impossibile.