È la prima volta in assoluto che alcuni imputati - altri sono in carcere o ai domiciliari - di “mafia capitale” parlano in pubblico. Anche persone non imputate, ma vittime collaterali del processo, come i presidenti di piccole cooperative che lavoravano per la cooperativa 29 giugno e si sono ritrovati schiacciati dalla nuova gestione frutto del commissariamento. Lo fanno nella sede del Partito Radicale che ieri ha organizzato un convengo presieduto da Sergio D’Elia e Rita Bernardini dedicato proprio all’equiparazione della corruzione con la mafia. Partendo proprio da “mafia capitale” per finire alla legge “spazzacorrotti”. Il legame c’è, perché i corrotti, oltre che ' spazzati', sono anche assimilati ai mafiosi visto che è stato esteso il 4 bis: non possono accedere ai benefici previsti dall'ordinamento penitenziario come, appunto, i mafiosi. Un articolo dell’ordinamento penitenziario che in realtà, nella riforma dell’ordinamento penitenziario originale, sarebbe stato modificato visto il suo carattere emergenziale. Per gli imputati di mafia capitale, invece, non c’è stata bisogno di nessuna nuova legge. Per i legali difensori, al massimo era emerso – di concreto – una turbativa d’asta, ma invece sono stati condannati, in secondo grado, al 416 bis. Ora attendono la Cassazione che si troverà a decidere, in punta di diritto, se la sentenza d’appello è stata corretta o meno. In appello, come detto, il presidente Salvatore Buzzi e alcuni dipendenti come Claudio Bolla, Claudio Cardarelli, Carlo Guarany della cooperativa 29 giugno sono stati condannati per mafia. A differenza, invece, della sentenza di primo grado che stabiliva la presenza di due associazioni a delinquere comuni e non mafiose. Tra i politici condannati c’è Andrea Tassone, ex minisindaco del Pd di Ostia. Anche lui ha da poco rotto il silenzio. «Spero che se la Cassazione confermerà la mia condanna quantomeno saprà spiegarmi in maniera inequivocabile cosa ho commesso - dice l’ex esponente del Pd - perché fino ad oggi non l’ho ancora capito!». Durante il convengo ha ricordato di come è stato abbandonato dal Pd, lasciato solo e subìto un commissariamento da Orfini, prima ancora che esplodesse “mafia capitale” in tutta la sua interezza.

Molto interessanti gli interventi al convegno organizzato dal Partito Radicale. A partire da Claudio Bolla, che faceva parte dell’amministrazione della cooperativa, che ha messo in guardia sul fatto che questa condanna per mafia – se dovesse diventare definitiva - diventerebbe un “precedente” giudiziario che ritiene «pericoloso per la società e per la democrazia del Paese». Ciò che contestano – Bolla e gli altri imputati - è l’assunto giudiziario che considera mafiosa la cooperativa “29 giugno”, pur essendo quest’ultima una realtà non certo importante anche nei numeri e priva di controllo del territorio e di armi. Secondo Bolla, in sostanza, verrebbero «minati i principi democratici e costituzionali», su cui si fonda il Paese, perché in futuro si darebbe agli inquirenti la possibilità di contestare il 416 bis anche in altri ambiti. Durante l’intervento, Claudio Bolla lancia una sferzata al nuovo libro dei magistrati Pignatone e Prestipino. Si riferisce al passaggio del libro dove c’è scritto: «(…) sin dal 2008 “mafia capitale”, per opera di Carminati e Buzzi, entra in rapporto con i Mancuso – potente famiglia di ’ ndrangheta del Vibonese – che sul proprio territorio “accredita” due dipendenti della Cooperativa 29 giugno facente capo a Buzzi, i quali presso un centro sito a Cropani Marina gestiscono, sotto la protezione degli stessi Mancuso, una nuova attività nel settore dell’accoglienza di cittadini extracomunitari ( 240 immigrati per un introito complessivo di 1.300.000 euro)». Bolla ricorda che è non è vero, perché «Carminati e Buzzi s'incontrano nel 2012, Rotolo e Ruggiero ( i 2 soci della 29 Giugno) sono stati assolti in 1° e 2° grado dalle accuse e tra l'altro Carminati conobbe la “29 Giugno” nel 2012 visto che nel 2008 era ancora in carcere».

Interessante l’intervento del professore Tullio Padovani, che partendo da un dato: l’esistenza di due sentenze, due valutazioni «non solo contrastanti, ma assolutamente confliggenti, perché in primo grado ci sono due associazioni per delinquere comuni e in secondo grado c’è un’unica associazione di stampo mafioso». Padovani, quindi, rileva non solo una relatività del giudizio, ma «una franosità dei presupposti». Il professore spiega che questo sintomo è da ritrovare all’origine. «Come diceva Heidegger - sottolinea Padovani -, l’essenza di un problema è nella sua origine». E l’origine, per Padovani, è proprio il 416 bis, nato per fronte ad una emergenza, che era appunto quella della mafia che ha delle caratteristiche ben precise. «Ma il 416 bis, osservandone la fattispecie – spiega Padovani –, si può notare come sia idoneo a performare la realtà in modo tendenzialmente incontrollabile». Incisivo l’intervento dell’avvocato Cataldo Intrieri, difensore di Carlo Guarany, il vicepresidente della “29 giugno”. Ha fissato un tema di grandissima attualità: la violazione del principio di legalità e il sotteso principio di tassatività della norma. Violazioni che hanno interessato sia la sentenza di “mafia capitale”, ma oggi anche la normativa dello “spazzacorrotti”, con ciò portando a uno strappo del diritto. «Al contrario, il giudice di primo grado della sentenza sul “Mondo di Mezzo” - spiega l'avvocato Intrieri , aveva sì considerato che i fatti fossero gravi, anche ammettendo che forse il 416 bis avrebbe meritato un'evoluzione, ma aveva anche scritto che non era questo il compito del giudicante».