«La percezione della mancanza di sicurezza è tema che viene sempre frapposto a chi – come il Garante – cerca di trovare quel baricentro avendo ben chiaro che ogni persona, nativa o straniera, libera o ristretta, capace o meno di intendere o in qualsiasi altra condizione ha diritto al rispetto della propria dignità personale e alla propria integrità psichica e fisica». Lo ha detto ieri il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà, Mauro Palma, nella sua relazione al Parlamento. «Un diritto - ha aggiunto il Garante - che comporta altresì l'obbligo di garantirle la maggiore autodeterminazione possibile nei limiti dati dalla sua condizione e nel contesto dei valori e principi che la nostra Costituzione tutela. A essi io aggiungo il diritto alla speranza». Un intervento illuminato ed illuminante quello del Garante in un periodo in cui populismo giudiziario, razzismo e xenofobia mettono in pericolo il rispetto dei diritti delle persone private della libertà – detenuti, migranti, uomini e donne non autosufficienti -, «indipendentemente dalla ragione che abbia determinato tale privazione, nella consapevolezza che queste persone sono tutte unite da una intrinseca vulnerabilità che richiede protezione».

Palma, coadiuvato nell’esposizione della Relazione dalle due componenti del Collegio del Garante - Daniela de Robert ed Emilia Rossi – ha sottolineato, in contrapposizione ai semplicistici slogan “chiudiamo i porti”, “gettate la chiave e fateli marcire in galera”, che la percezione di personale insicurezza, alla base di specifici provvedimenti atti a ridurre per tutti i margini di libertà e alla quale invece si contrappongono dati e statistiche per cui, ad esempio, si assiste a una radicale diminuzione dei reati, «non può essere semplicemente assunta, da parte di chi ha responsabilità istituzionali, come un dato, fisso e ingiudicabile; non può costituire il criterio informatore di norme né di decisioni amministrative perché queste hanno sempre un valore di costruzione del sentire comune e chi ha il compito di regolare e amministrare la cosa pubblica ha altresì il compito di scelte che possono talvolta andare contro la supposta percezione della collettività, proprio per dare ad essa una prospettiva meno angusta e un orizzonte di evoluzione» . La Relazione – esposta alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, del Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico, del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, del Presidente della Corte Costituzionale Giorgio Lattanzi, del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, del Presidente del Cnf Andrea Mascherin, raccoglie le osservazioni, le analisi, le criticità emerse nel corso dell’anno a seguito delle visite effettuate negli istituti di pena per adulti o minori, nelle Rems, nelle camere di sicurezza delle diverse Forze di polizia, nei centri di trattenimento per i migranti irregolari, hotspot e anche su una nave.

Il sovraffollamento non è una fake news. Lo ha specificato il Garante: alla data del 26 marzo 2019 su 46904 posti regolamentari disponibili nei 191 istituti di pena erano presenti 60.512 persone; 13608 detenuti in più, con un sovraffollamento del 129%. Della stessa idea il presidente Fico che nel suo discorso di apertura aveva detto: “Il sovraffollamento delle carceri diventa una pena aggiuntiva; su questo i miglioramenti sono stati timidi e parziali in questi anni”. Palma ha poi dichiarato: “l'attenzione geometrica alla '' cella'' non deve far perdere il principio che la persona detenuta deve vivere la gran parte della giornata al di fuori di essa impegnata in varie attività significative. Il nostro modello di detenzione continua, al contrario, a essere imperniato, culturalmente e sul piano attuativo, sulla permanenza nella '' cella'', così vanificando la proiezione verso il dopo e il fuori'.

Nel 2018 i casi di suicidio sono stati 64: un numero che ha segnato un picco di crescita rispetto all’anno precedente ( 50 nel 2017) e che ha raggiunto un livello che non si riscontrava dal 2011. Nei primi tre mesi del 2019, dieci persone si sono tolte la vita in carcere, circa una a settimana.

Non è possibile “guardare positivamente la riduzione della pressione sul nostro Paese della migrazione” “senza rivolgere lo stesso sguardo al numero di morti in quel mare che un tempo era “nostrum” in quanto condiviso da entrambe le sponde e che ora si è tramutato in un muro'. Così il Garante Palma, che ha aggiunto che deve essere “doveroso e assoluto” il “rispetto del principio di non rinviare le persone verso Paesi in cui possano essere a rischio di trattamenti inumani o degradanti se non di tortura'. Il Garante ha effettuato, nel corso del 2018, 42 visite ( con l'accesso a 100 luoghi di diversa tipologia e delle diverse aree d'intervento) e monitorato 34 voli di rimpatrio forzato, in particolare verso la Tunisia e la Nigeria e le persone rimpatriate sono state complessivamente 6.398.

Gli hotspot attualmente operativi sono quattro: Lampedusa ( Agrigento), Messina, Pozzallo ( Ragusa) e Taranto. Nei primi due mesi e mezzo del 2019 sono passati per gli hotspot 417 persone, di cui 27 donne, 62 minori di cui 18 non accompagnati ( Msna). La permanenza media all’interno di tali Centri varia molto: ben 37 giorni a Messina, 4/ 5 giorni a Lampedusa, 72 ore a Pozzallo ( 48 ore per i Mnsa), 12 ore di Taranto ( 2 ore per i Msna). Si tratta di dati che confermano la problematicità degli hotspot nei quali le persone sono trattenute senza un mandato dell’autorità giudiziaria. Ciò pone un problema di legittimità ai sensi dell’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ( Cedu) e dell’articolo 13 della Costituzione italiana.

La riforma che ha portato alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e alla nascita delle Rems sta superando la fase di rodaggio, con buoni risultati in linea generale nelle Residenze per misure di sicurezza che ospitano ( al 31 dicembre) 629 persone. Tuttavia, 249 di queste sono in misura provvisoria e dei 357 in misura definitiva solo il 46 percento ha un trattamento riabilitativo individuale. Si va da situazioni come la Basilicata, l’Emilia Romagna e il Friuli dove è stato predisposto per tutti i pazienti, a quelle di Calabria, Sardegna, Toscana e Veneto dove non è stato predisposto per alcuno dei pazienti. Va rilevato inoltre il fatto che vi sono 63 che attendono in carcere di entrare in una Rems. Si tratta di persone che hanno finito di scontrare la loro pena e che, pur tuttavia, non trovando posto in una strutture per l’esecuzione della misura di sicurezza rimangono in carcere, una detenzione il cui fondamento legale appare dubbio.

Il Garante nazionale, anche in base ai monitoraggi effettuati, ha espresso perplessità rispetto all’effettiva indipendenza garantita in molte situazioni dai pareri dei due diversi medici previsti dalla legge per potere disporre un Tso. Il Garante nazionale sollecita inoltre la previsione per legge di un registro nazionale dei Tso, nonché la predisposizione di un sistema di reclami.