Dopo tre giorni di cronaca giudiziaria degradata a romanzo spionistico d’appendice, il procuratore di Milano Francesco Greco è “costretto” a convocare una conferenza stampa. «C’è un’opzione avvelenamento», nelle indagini sulla morte di Imane Fadil, «ma è meglio evitare suggestive congetture». Sembra un richiamo anche un po’ desolato a tenere a freno la fantasia. Che sulla stampa italiana non è certo mancata, da quando venerdì scorso lo stesso capo dei pm milanesi ha reso pubblica l’inchiesta per omicidio sul decesso della 34enne ex modella.

Le “suggestioni” ruotano attorno a un fantasma: quello di Silvio Berlusconi. La povera Imane è stata teste al processo Ruby - il primo, da cui l’ex premier è uscito assolto - e avrebbe deposto anche al nuovo dibattimento, quello che vede Berlusconi accusato di aver corrotto i testimoni delle cene di Arcore. Immediata la corsa all’allusione, la sfrenata rappresentazione mediatica che rimanda a un non detto: Imane sarebbe stata avvelenata proprio per impedirle di testimoniare - di nuovo - contro il Cavaliere.

Scenografia macabra che trasforma il leader di Forza Italia se non proprio nel mandante, quanto meno in beneficiario del possibile omicidio della donna. Una corsa alla suggestione horror che di fatto è anche un atto di sfrenato e collettivo scempio del cadavere della vittima.

Il solito quadro degenerato dell’informazione giudiziaria. Di fronte al quale il procuratore Greco tenta di mettere ordine con un velo di bonaria sopportazione, ma anche con nettezza. Conferma che «l’opzione avvelenamento» esiste, che i metalli usati potrebbero essere radioattivi e che, per verificarlo, nelle prossime ore saranno prima prelevati campioni di materiale organico dalla salma e poi condotta l’autopsia, prevista per giovedì o venerdì.

Intanto già dagli esami sul sangue e le urine di Imane risulta la presenza di diversi metalli. «Una ricerca di 50 elementi ha dato esiti pesantemente positivi per alcuni», come «il cromo, rintracciato a 2,6». A precisarlo è Tiziana Siciliano, procuratore aggiunto nel capoluogo lombardo, che affianca Greco nell’incontro con la stampa e che, con il sostituto Luca Gaglio, conduce materialmente l’inchiesta.

I due magistrati dell’ufficio diretto da Greco sono anche i titolari dell’accusa al nuovo processo Ruby. Ed è insieme con loro due che il procuratore di Milano individua un possibile imminente obiettivo dell’indagine: i sanitari della clinica Humanitas di Rozzano, dove Fadil è stata ricoverata lo scorso 29 gennaio ed è morta il 1° marzo.

L’ex modella confessa già il 12 febbraio i timori di avvelenamento a suo fratello e al suo avvocato Paolo Sevesi. Eppure, spiega Greco, la struttura sanitaria «non ha comunicato né alla Procura né ala polizia» il ricovero sospetto. La prima fase degli accertamenti medici risente di una certa inspiegabile flemma: Fadil attende la bellezza di dieci giorni prima che l’Humanitas verifichi l’assenza di arsenico nel suo sangue.

«L’analisi viene chiesta il 12 febbraio», ricorda la procuratrice aggiunta Siciliano, ma «l’esito negativo» arriva solo «il giorno 22». Solo a quel punto è iniziata «una serie di analisi più approfondite». E oltretutto, nel giorno del decesso, i magistrati vengono a sapere della vicenda non dai medici, ma dal difensore di Imane. Tanto è vero, incalza Greco con apparente levità, che «la Procura ha anticipato la comunicazione della clinica».

Cioè sono Siciliano e Gaglio a chiedere conferma ai vertici della struttura su una donna appena deceduta, con sospetti di avvelenamento, prima ancora che agli inquirenti arrivi l’informazione ufficiale. «Non c’è stata nessuna comunicazione alla Procura o alla polizia prima della morte di Imane: la conferma ufficiale arriva dallo stesso direttore sanitario», sentito ieri dai pm. «Chi dice il contrario diffonde una fake news», chiude la storia il procuratore di Milano.

C’è un altro passaggio significativo, nella conferenza tenuta ieri dagli inquirenti. Oltre al possibile avvelenamento da metalli pesanti e radioattivi «nessuno si sente di escludere una possibile causa naturale della morte». Anzi, «nessuno si sente di escludere nulla», chiarisce Greco un attimo prima di spiegare che l’esame autoptico avverrà col supporto dei vigili del fuoco e con tutte le «cautele» rese necessarie dall’ipotesi sostanze radioattive. È un passaggio importante perché quell’idea di non dover escludere nulla era filtrata sui giornali già nel fine settimana. Ma sotto una luce del tutto diversa dalla laica pluralità di ipotesi avanzate dal magistrato: nelle ricostruzioni proposte finora, il “tutto è possibile” è stato allusivamente riferito a un qualche ruolo di persone vicine a Berlusconi. A un avvelenamento “alla russa”, magari sbrigato dagli amici dell’amico Putin, in modo che la teste scomoda della saga Ruby tacesse per sempre.

E invece andrebbero evitate «suggestive congetture», dice il procuratore di Milano. Ci sono indizi che rimandano all’uso di metalli radioattivi, non certo alle eventuali ragioni di un atto così feroce. «Quello che emerge è che all’Humanitas hanno tentato tutto il possibile, anche l’ipotesi di una malattia rara che non è stata trovata».

Ma ora, anziché dare la caccia a eventuali indagati, «è più importante capire la causa della morte di Imane», aggiunge il capo dei pm milanesi. Tenere a freno la fantasia sarebbe necessario anche in altri dettagli delle romanzesche ricostruzioni apparse nelle ultime ore, come quelle che hanno evocato una possibile “quarantena” della clinica. «Dopo la morte ci sono stati dei controlli in ospedale con il contatore Geiger, di esito negativo, ma forse su questo si è creata una leggenda». Forse non solo su questo.

La tragedia di Fadil è un caso giornalistico, non ancora un caso politico. Mostra inevitabile prudenza Matteo Salvini, che d’altra parte sarebbe chiamato istituzionalmente in causa solo qualora emergesse davvero un ruolo di agenti dei Servizi di qualche Paese straniero, ruolo già ampiamente avvalorato da alcuni giornali.

Tra le tante “suggestioni”, anche quella di un possibile ricorso a sostanze radioattive come il polonio, ritenute tipiche degli agenti russi. «Non mi accontento di ipotesi giornalistiche, non mi permetto di sostituirmi agli inquirenti, aspetto che mi dicano qualcosa di certo», risponde il ministro dell’Interno. «Se ci fosse qualcosa di certo, al Viminale ne trarremmo le conseguenze». Anche perché se una donna fosse stata avvelenata in Italia da spie di Putin per fare un favore a Berlusconi, sarebbe roba da far venir giù ogni rapporto tra Roma e Mosca. Chissà se le fantasie ne tengono conto.