A una giornalista che gli chiede in che cosa consiste, e quanto “pesi”, l’impegno, Leonardo Sciascia, con un sorriso tra l’ironico e il benevolo, risponde: “L’impegno si paga. Duramente, anche. Il prezzo, in una società come la nostra, è la solitudine, l’isolamento…”. Una lunga pausa di riflessione, poi aggiunge, come pescando nei ricordi: “A un certo punto della sua vita, dopo aver scritto “I grandi cimiteri sotto la luna”, Bernanos annotò: “Io sono un uomo solo. E anche Gide è un uomo solo”. Cattolico, avendo scritto quel libro contro il franchismo, Bernanos era diventato per il mondo cattolico una pecora nera. Quasi comunista, Gide si era trovato nella stessa condizione rispetto al mondo comunista per aver scritto quel “Ritorno dall’Urss”, in cui, in effetti, non diceva altro che quel che Kruscev avrebbe rivelato vent’anni dopo… Ecco, questi due scrittori, questi due libri, queste due solitudini, sono per me i modelli più alti d’impegno”.

Per Sciascia vale dunque il “Shomér ma mi- llailah” del profeta Isaia: di regola, questo profeta minaccia fuoco e fiamme per tutti coloro che non si attengono alle regole divine; il suo è sempre un volto severo, corrucciato. All’improvviso, ti sorprende con un paio di versetti di speranza: “Sentinella, a che punto stiamo della notte?”. E la sentinella risponde: “La notte sta per finire, ma l’alba non è ancora giunta. Tornate, domandate, insistete!”.

Insomma: l’importante è non stancarsi di porre (e porsi) domande; quello che realmente conta è coltivare curiosità.

Impegno e ricerca: sono le due chiavi – meglio: i due grimaldelli – per penetrare in generale nell’opera di Sciascia, e gustare il fascicolo de “Il Giannone” dedicato allo scrittore di Racalmuto in occasione del trentennale della sua morte.

“Il Giannone”, è una rivista annuale; poderosi volumi di trecento e passa pagine con ricchi apparati fotografici. La rivista ha già pubblicato, tra gli altri, numeri monografici dedicati a Paolo Volponi, Raffaele La Capria, Elsa Morante, Elio Vittorini, Guido Ceronetti, Anna Banti…; è “figlia” del “Centro Documentazione Leonardo Sciascia/ Archivio del Novecento”, che ha sede a San Marco in Lamis, un paese vicino Foggia. L’anima, il cuore e il cervello de “Il Giannone” e del Centro Documentazione è Antonio Motta: grande conoscitore e amico di Sciascia, per cui nutre un sentimento di religiosa devozione.

Apre il volume un prezioso, illuminante, carteggio tra lo stesso Sciascia e un altro grande scrittore siciliano, Gesualdo Bufalino; seguono interviste a Giuseppe Tornatore su “Sciascia e il cinema”; Goffredo Fofi raccoglie i pensieri di un altro scrittore siciliano, anche lui grande amico di Sciascia: Vincenzo Consolo. E una quantità di contributi, scritti per l’occasione, o recuperati da riviste ormai difficili da recuperare nel circuito degli antiquari: testi, tra gli altri, di Marco Belpoliti, Guido Ceronetti, Umberto Eco, Giulio Ferroni, Giosetta Fioroni, Massimo Onofri, Ferdinando Scianna, Vittorio Sgarbi, Paolo Squillacioti. Volume da centellinare, più d’una pagina richiede una rilettura: perché innumerevoli sono le riflessioni erratiche che suscita, le concatenazioni di pensieri che si dipanano. Un volume che ogni amante ed estimatore di Sciascia non può non avere.

Ogni amante ed estimatore di Sciascia non può non avere un altro volume: “E Sciascia che ne dice? Il catalogo è questo!”, pubblicato da Leo Olschki, per la cura di Francesco Izzo, fondatore e animatore dell’associazione “Amici di Leonardo Sciascia”. Si scandaglia il rapporto che legava Sciascia a un altro grande artista, Mino Maccari: uno dei disegnatori principe di quello straordinario settimanale che è stato Il Mondo di Mario Pannunzio.

Qui, conviene saccheggiare la preziosa nota introduttiva di Izzo: “… Siamo al Cinquale, frazione di Montignoso, in provincia di Massa Carrara, nella casa di Mino Maccari. Nove anni prima, Marco, il figlio, ci aveva informato dell’esistenza di lettere di Sciascia nell’archivio di famiglia. Assieme con le missive del padre custodite presso la Fondazione Sciascia, sarebbero andate a ricostituire il carteggio Sciascia- Maccari 1969- 1978… Marco e la gentile signora Francesca offrono alla nostra curiosità le pagine del “Diario” inedito dell’artista, uno zibaldone in cui egli scandisce ogni giorno annotando per prima cosa il tempo che fa. Undici volte ricorre il nome di Sciascia…”.

Beh: ora procuratevi il volume e leggetevelo con calma: è un autentico “piacere del testo”. Qui vi diciamo solo che potete trovare anche un piccolo saggio di Sciascia su Maccari pubblicato molti anni fa su “Galleria”, la rivista che lo stesso Sciascia dirigeva con rara sapienza. Ancora: un saggio di Maccari su Sciascia, originariamente pubblicato senza firma su una piccola rivista per amatori, “L’Indiscreto”; Luigi Cavallo e Marco Vallora indagano e ricostruiscono l’amicizia e il rapporto tra Sciascia e Maccari.

Per dare un assaggio delle prelibatezze che vi può riservare la lettura di questo E Sciascia che ne dice?, un aneddoto raccontato da una delle figlie di Sciascia, Laura: i due sono a Taormina; un antiquario capisce vagamente che con Sciascia c’è un pittore: “… Gli chiede un disegno; ripassando davanti al negozio, l’antiquario, male informato, lo ferma dicendogli: ‘ Maestro Guttuso, l’ho riconosciuto, mi deve firmare il disegno!’. E Maccari, impassibile, firma Renato Guttuso…”.

Precisa la sintesi del risvolto di copertina: “Come essere invitati a una tavola in cui idealmente sono seduti, oltre a loro – Sciascia e Maccari – Longanesi, Brancati, Flaiano…”.

In più di occasioni Sciascia esorta a “cominciare a contarsi, come diceva Seneca per gli schiavi”; convinto, da quella “conta”, che si sarebbe scoperto che si era probabilmente isolati, ma certamente non soli: “Non numerosi, ma sufficienti per contrapporre l’‘ opinione’ alle ‘ opinioni correnti’”.

Lo dice anche quando decide di mettersi in gioco in prima persona, candidandosi al Parlamento nelle liste del Partito Radicale: un programma contenuto in una sorta di epigramma: “No all’indifferenza, no all’ignavia”. Per rompere il patto tra “la stupidità e la violenza”.

“Il Giannone” curato da Motta e il libro curato da Izzo aiutano a capire quella “lezione”, ci rendono consapevoli di quanto sia valida. Più ora, forse, di allora.