L’avvocatura è una libera professione, ma quasi un terzo degli avvocati milanesi che hanno risposto al sondaggio rivolto a tutti i 20 mila iscritti si percepisce come lavoratore “dipendente”: il 30%, ma più le donne ( 33,6%) dei colleghi maschi ( 25%).

Al sondaggio, promosso dall’Ordine del capoluogo lombardo, hanno risposto in 3.165 ( per il 55% donne) pari al 15,7% degli iscritti ( inclusi 742 praticanti abilitati). Una redemption comunque elevata per questo tipo di rilevazioni.

Sotto il profilo dell’età anagrafica e dell’anzianità professionale è rappresentativo della situazione delle nuove generazioni, perché la media di iscrizione all’Albo è di 15,3 anni; due terzi di quanti hanno risposto sono professionalmente millennials, si sono cioè iscritti all’Ordine dopo il 2000, e un ulteriore quarto è iscritto dal decennio precedente.

Nella fotografia panoramica “scattata” agli iscritti, dunque, sono particolarmente a fuoco le giovani generazioni di avvocati, quelle che dovranno più di altre confrontarsi con le nuove tecnologie ( l’ 86% le vede come una opportunità), con le prospettive economiche ( solo un terzo prevede miglioramenti nel prossimo futuro), con le modalità di lavoro dei grandi studi internazionali e la “monocommittenza”, che lo scorso autunno è stata al centro del congresso nazionale forense di Catania ( riguarda lo status e alcune garanzie contrattuali per coloro che, pur restando liberi professionisti, prestano la loro attività in grandi o piccoli studi, ma la svolgono su richiesta e indicazioni del titolare dello studio o del responsabile del dipartimento in cui operano). Il punto di vista dei giovani professionisti rappresenta la parte più innovativa del Bilancio sociale 2017- 2018 dell’Ordine degli avvocati di Milano redatto con il supporto scientifico di Sda Bocconi - School of Management, presentato ieri pomeriggio nell’Aula Magna del Palazzo di giustizia.