Le piazze algerine sono in ebollizione da settimane, la protesta contro il quinto mandato per l’eterno presidente Bouteflika monta di giorno in giorno in vista delle elezioni di aprile. Si tratta della classica goccia che ha fatto traboccare il vaso e che si inserisce in un contesto di corruzione generalizzata del regime e di crisi economica. Tanto che alla fine il presidente Per capire cosa sta succedendo ne abbiamo parlato con Lorenzo Declich, esperto di mondo islamico contemporaneo.

Partiamo dalla lettera che Bouteflika aveva indirizzato al popolo

algerino

Il tre marzo la televisione di Stato legge una lettera, attribuita a Bouteflika, in cui afferma che se verrà eletto il suo mandato a un certo punto si interromperà e che verrà indetta una generica conferenza nazionale sulle riforme. Una notizia che in un altro paese potrebbe avere un qualche aspetto di normalità se non per il fatto che Boutlefika è in una condizione di malattia terminale, probabilmente incapace di scrivere o solo di prendere una penna in mano.

Questa situazione si era protratta dal mandato precedente quando fu eletto per la quarta volta ed ebbe l’ictus che lo costrinse sulla sedia a rotelle. La vicenda della lettera da la misura di quanto il potere algerino sia vuoto, alla presidenza c’è una persona che è nei fatti assente o che viene evidentemente manovrata. In Algeria si sono svolte diverse manifestazioni, il 22 febbraio, il primo marzo, quando è sceso in piazza almeno un milione di persone e ancora di più l’ 8 marzo. E’ chiaro che questo tipo di esternazioni non fa altro che esacerbare gli animi.

Da chi è animata la protesta?

I settori sono diversi, dalle popolazioni berbere tradizionalmente in conflitto con il potere centrale a categorie come gli avvocati e gli studenti che hanno fatto una grandissima manifestazione. C’è poi la questione femminile e anche gruppi e associazioni che nell’Algeria dell’indipendenza hanno acquisito una loro legittimità ma che ora hanno smesso di sostenere il regime.

E l’opposizione politica?

Ci sono organizzazioni importanti che hanno deciso di schierarsi con i manifestanti, partiti come quello che potremmo definire di centrosinistra che ha ritirato i propri deputati dal Parlamento. A questo bisogna aggiungere che la popolazione algerina è in gran parte giovane e che è quella che ha minori garanzie sociali, un po’ lo scenario delle cosiddette “primavere arabe” con in più il fatto che dopo anni e anni la crisi economica si è incancrenita.

Qual è il ruolo dei militari?

Sono loro a governare l’Algeria, il lascito della guerra civile, oltre alla scia di sangue, è stato quello di un apparato di sicurezza pletorico, concentrato sull’antiterrorismo con metodologie violente e sofisticate nello stesso tempo.

C’è il rischio di uno sbocco di tipo egiziano o peggio siriano?

Il rischio è strutturale nel senso che anche se i manifestanti fossero i più pacifici possibile c’è sempre possibilità di provocazioni. Se si accendesse il fuoco della protesta e della repressione non sappiamo dove si potrebbe arrivare. Fino ad ora questo rischio non c’è, in alcune occasioni i manifestanti hanno fatto addirittura da scudo ai poliziotti nel tentativo di coinvolgerli nella protesta contro Bouteflika.

Alla fine quale potrebbe essere lo scenario?

Quello che non soddisferebbe gli algerini è una situazione di maquillage nella quale Bouteflika muore o esce di scena in qualche modo e altri esponenti della sua cerchia escono allo scoperto. La questione si gioca proprio su questo.

Al momento la comunità internazionale è in finestra anche se alcuni paesi, come Italia e Francia, dovrebbero avere un’attenzione particolare verso l’Algeria.

Ci sono grandi aziende come l’Eni che hanno grandi interessi in Algeria, quindi l’atteggiamento italiano presumibilmente sarà quello di appoggiare qualsiasi soluzione che appaia stabile e magari chiudere gli occhi di fronte a possibili epurazioni. La stessa cosa vale per la Francia che ha un legame non solo economico ma anche storico. I franco- algerini sono milioni con una forza non solo elettorale ma anche di piazza che spinge per un cambiamento significativo. Diciamo dunque che tutti agiscono per il male minore che possa però garantire i propri interessi. Un’attesa che però potrebbe tradursi in una delusione per gli algerini