Sulla Tav siamo «oggettivamente a uno stallo». Le parole scelte dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per descrivere il travaglio della maggioranza non lasciano troppo spazio all’immaginazione. La trattativa sull’alta velocità sta facendo saltare i nervi e forse anche la stessa alleanza di governo. Perché per quanto tutti i protagonisti della vicenda si sforzino di cancellare la parola “crisi” dal dizionario giallo- verde della politica, è evidente che sulla Torino- Lione il governo del cambiamento rischia di sbriciolarsi. Troppo distanti le posizioni di Luigi Di Maio e Matteo Salvini sulla grande opera per individuare un compromesso accettabile. E la mediazione del premier - che comunque si schiera su posizioni No Tav - non sembra essere troppo efficace.

Non ho «mai detto che avremmo affidato all’analisi costi benefici la decisione finale», prova a correggere il tiro il premier per non innervosire la Lega. La decisione dovrà invece essere «politica», scandisce il primo ministro, che anche senza una posizione unitaria confida nella sua terzietà per intavolare un confronto anche con la Francia e l’Unione europea. «Non sono affatto convinto che questo progetto sia quello di cui l’Italia ha bisogno», dice comunque il capo del governo, per chiarire a tutti la sua posizione. «Io stesso nel vertice di stanotte ho espresso forti dubbi e perplessità su questa opera e lo ribadisco: non sono, allo stato, affatto convinto che questo progetto infrastrutturale sia quello di cui l’Italia ha bisogno.

Il progetto risale a dieci anni fa e se oggi dovessimo cantierizzarlo mi batterei perché non lo fosse», sottolinea.

Guai però a confondere le opinioni con la politica. Dunque, «pretendo che questa decisione non sia frutto di fattori emotivi, preconcetti, schemi ideologici, non ho nulla contro l’ideologia, nessuna contrarietà, ma qui non possiamo affidarci a ragioni di mera tattica», precisa Conte, prima di indicare il percorso: «Acquisiamo analisi costi e alla luce analisi innesteremo la decisione politica».

Di Maio, dal canto suo, ringrazia «Conte per le parole di responsabilità espresse», ma sa di non potersi permettere altre retromarce. Non sulla Tav, che probabilmente gli costerebbe una “scomunica” da Beppe Grillo in persona, parecchio sensibile all’argomento. Il capo politico - già accusato di troppa accondiscendenza nei confronti del Carroccio e ritenuto responsabile del crollo grillino nei sondaggi non ha grandi margini di manovra.

E se Salvini dice di non essere «stato eletto per bloccare, ma per sbloccare» e di avere le «idee chiare» sulla Torino- Lione, Di Maio non vuole di certo essere da meno. A costo di alzare ulteriormente il livello dello scontro in Consiglio dei ministri. «Per fermare il Tav ci sono due passaggi», scrive il capo politico ai propri parlamentari nella lettera di convocazione dell’assemblea congiunta dei gruppi. «Il primo è quello del blocco dei bandi ( sui quali bisogna decidere entro questo lunedì) e ciò può avvenire o tramite una delibera del Consiglio dei ministri o tramite un atto bilaterale Italia - Francia che intervenga direttamente sul CdA di Telt ( la società italo francese che gestisce gli appalti del Tav)», spiega ancora Di Maio, spiegando tutti i passaggi necessari a sabotare l’infrastruttura. «Il secondo è quello del passaggio parlamentare per il no definitivo all’opera». Peccato che su questi punti non ci sia alcuna sintonia con l’alleato, come dichiara lo stesso ministro del Lavoro in un passaggio successivo della missiva. «Non c’è un accordo tra le due forze di governo», è costretto ad ammettere. «Nulla è stato ancora deciso. Quello che faremo durante l’assemblea dei parlamentari è approfondire questi punti con il ministro Toninelli». Ma su un punto il capo grillino non ha alcun dubbio: «Sulla strategicità dell’opera abbiamo ragione su quello che abbiamo sempre sostenuto. Passano sempre meno merci rispetto alle previsioni e gli aumenti futuri non giustificano l’opera», dice.

Mentre Lega e Movimento 5 Stelle si confrontano, però, il tempo stringe. Ed entro lunedì bisogna decidere se far partire i bandi o no. «Tutti stiano tranquilli sulla nostra credibilità», assicura il presidente del Consiglio, «che si dimostra non se si dice sì a tutto, ma se si portano argomentazioni forti». L’importante è che lo siano abbastanza da convincere Salvini e tutto il Carroccio.