Se Luigi Di Maio vacilla persino sul no alla Tav, Beppe Grillo non può più stare a guardare. La parentesi da “Elevato”, la carica che il comico genovese si è ironicamente auto assegnato per sottolineare il passo di lato rispetto alla politica attiva, potrebbe così chiudersi prima del previsto. Perché il partito di Di Maio somiglia sempre meno alla creatura nata da un’intuizione di un comico e un manager, e Grillo sembra pronto a far pesare il suo ruolo, questo sì concretissimo, nella gerarchia movimentista: “garante”. Che tradotto significa: unico, insindacabile, dominus autorizzato a sfiduciare il giovane leader di Pomigliano d’Arco, senza troppi complimenti. «Non bisogna scordarsi che Beppe è anche il proprietario del simbolo», ricorda una deputata pentastellata, «e può negarne l’utilizzo in qualsiasi momento».

E sulla Tav non sono ammessi ripensamenti, come sulla Tap, l’opera non s’ha da fare, ricorda Grillo a un distratto capo politico tentato dalle sirene del consenso. «Il paese sceglie falsi problemi: piuttosto che decidere di sostenere i suoi milioni di poveri preferisce disquisire di miliardi per bucare una montagna ed altre questioni che non esistono», scrive il comico genovese sul suo Blog, entrando a gamba tesa nel dibattito politico “caldo”, come non faceva da parecchio tempo. Il post in questione si scaglierebbe contro l’ipocrisia di chi ha organizzato

la manifestazione anti razzista di sabato a Milano, ma a ben guardare sembra che buona parte dei segnali polemici siano indirizzati a ministri e sottosegretari grillini. Anche lì dove formalmente gli attacchi sembrano indirizzati al Pd o a Forza Italia. Il paese «piuttosto che cacciare i mafiosi della politica offre a quella stessa vecchia politica alibi per rifarsi l’ennesimo lifting. Terreno di coltura ideale per i frou frou piddini e berlusconiani: cabaret invece che lotta», scrive ancora il fondatore del Movimento. Ma chi dovrebbe cacciare i «mafiosi della politica» se non chi siede a Palazzo Chigi? E a chi si riferisce Grillo quando parla di lifting della vecchia politica che il M5S ha sottoscritto un contratto con il più antico partito, la Lega, presente in Parlamento?

Alla luce di questi interrogativi, gli insulti ai piddini e berlusconiani «frou frou» sembrano più una manovra diversiva che il vero obiettivo. Il garante vede il consenso così faticosamente conquistato abbandonare la sua organizzazione e prova rimettere il treno sui binari che aveva immaginato fin dal primo “vaffa day”. Ma l’operazione è tutt’altro che semplice. Insomnia, lo spettacolo teatrale dell’Elevato e termometro del gradimento popolare, ha sempre più poltrone vuote. A scaldare le piazze e i teatri ( virtuali) ci pensa Matteo Salvini, percepito dai cittadini come il vero regista di maggioranza. Grillo, come Alessandro Di Battista, sparito dai radar dal 13 febbraio, al governo non si sente a suo agio, non funziona, perché parlare di «lotta» e di «caste» da Palazzo Chigi non sembra troppo credibile. Il ritorno all’opposizione sarebbe dunque l’unica scelta possibile, in caso di giravolta sulla Tav.

Il ministro del Lavoro sente il fiato sul collo del fondatore e d’istinto cerca una via d’uscita dal guado. A sorpresa riapre una finestra di dialogo col Pd appena “derenzizzato”, qualora il rapporto con Salvini diventasse insostenibile. Per il disgelo basta un semplice in bocca al lupo a Nicola Zingaretti, neo segretario dem, e un invito per il futuro: convergere in Parlamento sulla proposta grillina che introduce il salario minimo. Una sfida, certo, ma anche un ammiccamento.

Con questa mossa, il leader, sempre più contestato dalla base parlamentare, offre un ramoscello d’ulivo all’ala più movimentista del partito. E agli ortodossi, guidati dal presidente della Camera Roberto Fico, il primo a congratularsi con Zingaretti. In questo tentativo di avvicinamento, inoltre, Luigi Di Maio può contare sul sostegno di chi ha già sperimentato una collaborazione “giallo- rossa” col governatore del Lazio: Roberta Lombardi. La risicatissima maggioranza dem in Regione, infatti, si regge sull’opposizione non ostile del Movimento 5 Stelle alla Giunta Zingaretti, un’intesa nata sul campo negli stessi giorni in cui Di Maio trattava con Salvini le clausole del contratto di governo. «Così come c’è un contratto con la Lega potrebbe esserci con il Pd», ha dichiarato nei giorni scorsi la prima capogruppo alla Camera nella storia del Movimento 5 Stelle. «Non bisogna calibrare la propria azione politica con la paura di far cadere il governo questo snaturerebbe la nostra identità», ha aggiunto Lombardi, mandando un segnale a Salvini.

Ma sia tra i grillini che tra i dem al momento prevale la prudenza e la diffidenza. Per troppo tempo i due partiti si sono guardati con sospetto. Il “piano B” di Di Maio per non perdere la guida politica potrebbe non essere sufficiente. Grillo, intanto, osserva le mosse del vice premier, pronto a chiederne la sostituzione in caso di affaticamento. Di Battista continua a scaldarsi a bordo campo.