La Corte europea dei diritti umani ha dichiarato ricevibile il ricorso presentato dai legali di Bruno Contrada, in merito alle tre perquisizioni subite dall’ex numero due del Sisde, subito dopo la revoca della sua condanna a 10 anni inflitti illegittimamente secondo la Cedu. Non solo le perquisizioni considerate abusive dai legali, ma anche l’utilizzo sproporzionato delle intercettazioni nei confronti di persone non indagate consentite da una norma troppo vaga e che non pone limiti.

«Oltre alla questione dell’illegittimità dal punto di vista convenzionale delle perquisizioni – spiega a Il Dubbio l’avvocato Stefano Giordano – abbiamo sollevato assieme al collega Marina Silvia Mori di Milano, il modo disinvolto con cui i magistrati, legge tacendo, utilizzano le intercettazioni ambientali e telefoniche» .

«Già in conferenza stampa avevo detto che la legge – sottolinea l’avvocato – non pone dei limiti alla cerchia dei destinatari delle intercettazioni. Cioè, laddove ci sia un reato qualsiasi, o meglio l’ipotesi di un reato, si può intercettare chiunque per quel reato senza dei limiti. Allora, o questi limiti li fornisce la giurisprudenza, che non li ha dati, oppure, consentire che arbitrariamente tutta la popolazione presente sul suolo italiano possa essere soggetta ad intercettazione per un reato, per noi è una violazione di tipo convenzionale, perché viola la vita privata e familiare delle persone senza una base legale».

Tre sono state le perquisizioni effettuate nel giro di un anno. L’ultima, risolta con l’ennesimo nulla di fatto, risale al 29 giungo scorso. Documenti sequestrati? Un album fotografico con foto della Polizia di Stato, alcuni atti processuali pubblici, degli appunti per una bozza di lettera da inviare al magistrato Nino Di Matteo per alcuni chiarimenti. Questa volta la perquisizione era stata disposta dalla Procura generale di Palermo. Le altre due precedenti, avvenute nel giro di pochi giorni a luglio dell’altro anno, erano state disposte dalla Procura antimafia di Reggio Calabria nel quadro di indagini su fatti di mafia e di ’ ndrangheta risalenti agli anni Novanta. In particolare, su un presunto rapporto di Contrada con Giovanni Aiello, risalente a circa 40 anni fa, quando dirigeva la squadra Mobile di Palermo, dal 1973 al 1976. Un rapporto, di fatto, mai dimostrato. L’ex agente Giovanni Aiello, meglio conosciuto come “faccia da mostro” e morto di crepacuore due anni fa, era considerato una sorta di “anima nera” che, a parere dei magistrati – o meglio secondo un teorema però rimasto senza prove – sarebbe stato dietro a ogni strage di mafia degli ultimi decenni.

Il decreto della Procura generale di Palermo – titolari il Pg Roberto Scarpinato e i sostituti Domenico Gozzo e Umberto De Giglio – aveva disposto la perquisizione non solo della attuale abitazione di Contrada, ma anche di altri due immobili, perché – scrive la Procura – «esiste fondato motivo di ritenere, sempre sulla base di elementi acquisiti in questo procedimento, che Contrada abbia ancora la disponibilità di documenti». L’ordinanza è legata all’indagine – i pm palermitani avevano chiesto l’archiviazione, respinta dal gip, e subito dopo la procura generale di Palermo aveva avocato l’inchiesta – relativa al duplice omicidio dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio.

I documenti, che secondo la Procura avrebbe ancora a disposizione Contrada, servirebbero per dimostrare i rapporti che avrebbe avuto con lo stesso Agostino, con Aiello e con l’ex agente di polizia Guido Paolillo, indagato, e archiviato, proprio per il duplice omicidio. Ma quali sono le argomentazioni che la Procura generale di Palermo ha ritenuto di utilizzare per giustificare la perquisizione degli appartamenti? Esclusivamente basata sulle intercettazioni. «Contrada – denuncia l’avvocato Giordano - continua, da un anno e mezzo, a essere periodicamente sottoposto ad atti invasivi della sua vita personale e del suo domicilio ( perquisizioni, intercettazioni), senza che a suo carico risulti essere pendente alcun procedimento penale».

Per questo motivo è stato introdotto un nuovo ricorso avanti la Cedu, per denunciare l’illegittimità sul piano convenzionale di una normativa ( come quella italiana) che consente alla Pubblica Autorità di sottoporre indiscriminatamente ad atti invasivi della vita personale e del domicilio ( quali perquisizioni, sequestri e intercettazioni) soggetti che non siano parte ( né in veste di indagato, né in quella di persona offesa) di un procedimento penale e che si trovano per di più privati, in tal modo, delle garanzie che le norme interne e convenzionali pongono a tutela di chi sia formalmente accusato di un reato. La Corte ha dichiarato ricevibile il ricorso e questa volta riguarda l’intero sistema.