DI GABRIELE PARADISI

Nell’ultima udienza del processo sulla strage del 2 agosto 1980, che vede Gilberto Cavallini sul banco degli imputati, il presidente della Corte d’Assise di Bologna Michele Leoni ha rigettato l’istanza della difesa che chiedeva di acquisire il carteggio tra la nostra Ambasciata a Beirut e i Servizi segreti a Roma, nel periodo 1979 – 1980 ed in particolare le informative redatte dal capocentro del Sismi a Beirut, colonnello Stefano Giovannone.

Giovannone era il garante per l’Italia del cosiddetto “lodo Moro”, quell’accordo segreto, oggi riconosciuto pacificamente dagli storici, tra il nostro governo e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina che dal 1972- 1973, a fronte di una ampia indulgenza nei confronti dei commando palestinesi che utilizzavano il territorio italiano come libero transito e deposito di armi, manteneva il nostro Paese esente da azioni terroristiche.

Su quei documenti venne apposto il segreto di Stato nel 1984 dall’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, su richiesta di Giovannone nell’ambito del procedimento penale sulla scomparsa in Libano il 2 settembre 1980 dei due giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo. Nell’agosto 2014, trascorsi 30 anni, il segreto è decaduto, ma immediatamente è stata ripristinata la classifica di segreto e segretissimo, facendo tornare di fatto quei documenti indisponibili alla consultazione.

Gli stessi membri dell’ultima Commissione bicamerale d’inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, che poterono prenderne visione sommariamente, vennero messi al corrente che rischiavano una pena fino a tre anni di carcere in caso di divulgazione.

Nell’ambito di un procedimento penale per terrorismo e strage, la magistratura può richiedere anche atti sottoposti a segreto di Stato, era quindi nella possibilità della Corte di Bologna togliere finalmente, una volta per tutte, quel velo ormai inaccettabile e permettere di far luce su ciò che poté accadere nel nostro Paese negli anni di piombo, sotto l’oscura coltre protettiva di quella “diplomazia parallela”.

Perché quei documenti potrebbero essere utili anche per la strage di Bologna del 2 agosto 1980? Lo schema della cosiddetta “pista palestinese”, sostiene che il “lodo” fu rotto con il sequestro, nel novembre 1979, di due missili e con l’arresto del responsabile per l’Italia dell’Fplp Abu Anzeh Saleh, garante dell’accordo per i palestinesi.

In quei mesi a cavallo tra 1979 e 1980, si susseguirono le minacce di ritorsione da parte dell’Fplp. Testimonianze documentali – la deposizione del generale Silvio Di Napoli davanti al giudice Carlo Mastelloni, nonché documenti ritrovati negli archivi della Stasi, la polizia politica della Ddr – dimostrano che il Fronte prese contatti in quei drammatici giorni con il terrorista venezuelano Carlos, il cui gruppo compiva le azioni più sanguinose per conto dei palestinesi. La notte tra il 1° e il 2 agosto 1980, un uomo di Carlos “esperto di esplosivi”, il tedesco Thomas Kram era indiscutibilmente a Bologna e nel corso dell’inchiesta della Procura, che ha vagliato questa pista dal 2005 al 2014, non ha saputo in alcun modo giustificare il motivo di quella sua inquietante presenza, costringendo i magistrati bolognesi a scrivere nella richiesta di archiviazione che su di lui permaneva un “grumo residuo di sospetto”. La strage alla stazione fu dunque la sanzione dell’Fplp?

Non è nemmeno del tutto vero che il carteggio da Beirut sia interamente secretato. Per un caso fortuito e inspiegabile, un paio di quelle informative sono emerse e chiunque può leggerle senza incorrere nei rigori della legge. Si trovano negli atti, liberamente consultabili da qualunque cittadino, del procedimento penale sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974.

È sufficiente riportare un breve passaggio dell’informativa datata 12 maggio 1980 per capire quanto sarebbe utile disporre dell’intero carteggio. In essa il “Maestro”, così era chiamato Giovannone, riferiva che qualora le “Autorità italiane” non avessero soddisfatto le richieste del Fronte – liberazione di Saleh e restituzione o indennizzo dei missili – «la maggioranza della dirigenza e della base dell’Fplp intende riprendere – dopo sette anni – la propria libertà d’azione nei confronti dell’Italia, dei suoi cittadini e dei suoi interessi con operazioni che potrebbero coinvolgere anche innocenti».

Sono ormai trascorsi quattro decenni da quella stagione drammatica e pare inspiegabile che sia ancora così forte la resistenza degli enti erogatori che mantengono di fatto tale documentazione inaccessibile. Quali segreti indicibili nascondono quelle pagine? Perché al processo Cavallini l’avvocato dello Stato e i legali della parte civile si sono opposti all’acquisizione di quei documenti? Perché chi ha il potere di chiederli evita di farlo?