In uno Stato liberale il peccatore Roberto Formigoni non sarebbe mai comparso davanti a un giudice in toga. Piuttosto, in quanto credente, avrebbe avuto a che fare con un tribunale non meno severo e con l’inferno di severe penitenze per i suoi comportamenti, con l’aggravante della recidiva.

Il personaggio è ingombrante, e ai magistrati non sta simpatico. Perché li tratta con arroganza, non si assoggetta, non si lascia interrogare, sbuffa come un cavallo imbizzarrito contro chi voglia mettergli le redini. Anche le redini della giustizia, del processo, e infine del carcere, cui da ieri è schiacciato, dopo la condanna a cinque anni e dieci mesi. Formigoni in cella. Perché? Perché è un peccatore

La sentenza, oggi definitiva, sancisce che Roberto Formigoni, nei 18 anni in cui è stato presidente ( e anche un po’ monarca ) della Regione Lombardia, abbia barattato finanziamenti consistenti all’ospedale S. Raffaele e all’Istituto Maugieri non con elargizioni economiche ma con l’offerta di un tenore di vita impensabile per un casto e sobrio “Memores Domini”. Poco importa il fatto che a partire da quegli anni la Lombardia abbia raggiunto i livelli della migliore Europa nell’assistenza sanitaria e che, grazie al sapiente intreccio pubblico- privato creato da Formigoni e la sua squadra, qualunque donna abbia potuto partorire senza spesa anche nella migliore clinica esistente. Poco importa il fatto che ogni delibera non sia stata l’imposizione di un dittatore, ma sia stata sempre approvata sia in giunta che in consiglio.

Poco importa di tutto ciò a uno Stato che si arroga il diritto di giudicare i comportamenti. E magari di sovrapporre il reato al peccato, decidendo, come teorizzato dai filosofi politici dello Stato etico Hobbes e Hegel, quale debba essere il comportamento “politicamente edificante”. Se a questo aggiungiamo il fatto che in questa tipologia di società non esiste la divisione dei poteri voluta da Montesquieu ( e prima di lui dal liberale John Locke ), ne risulta che il giudizio su Roberto Formigoni appare come una decisione “di Stato”. Una pietra tombale sulla sua vita, prima ancora che sui reati per i quali è stato condannato.

Certo, alcuni comportamenti di vita del Celeste non sono stati proprio “edificanti” agli occhi dei Grandi Moralisti di Stato. Partiamo dal suo abbigliamento, sempre glamour sgargiante e impeccabile, che lui indossava anche leggermente ondeggiando, quasi si trovasse sul red carpet invece che nei luoghi istituzionali. Inappropriato? Certamente diverso. Va anche aggiunto il fatto che Formigoni usa incedere, più che camminare. E questo lo mette fuori, decisamente. Ma forse quel che più disturba è quella parte un po’ segreta di ognuno di noi che ha a che fare con gli affetti e la sessualità. E’ noto a tutti che l’ex Presidente della Regione Lombardia facesse parte ( e con loro vivesse in comunità ) del gruppo dei Memores Domini, laici che avevano fatto voto di povertà e di castità. Ma a volte sentimenti e pulsioni ti portano oltre, chiedi il permesso di un passo indietro e ti viene rifiutato.

E magari ti ribelli. Esci dal cliché. Ma non ottieni il perdono dello Stato.

E così, belle vacanze in luoghi da sogno, crociere su barche lussuose, la possibilità di acquistare una casa in Sardegna da un amico che ti fa un prezzo speciale, l’immagine distorta di un mezzo frate che in realtà se la gode, vive sopra le righe e chissà che altro combina e chissà con chi. Pare poco rilevante quel che ha detto invano in Cassazione il professor Coppi: perché ci sia corruzione occorre dimostrare un concreto nesso di causalità tra un provvedimento ( in questo caso finanziamenti a due ospedali privati) e il “compenso” ricevuto, pur se non sotto forma di mazzette ma di tenore di vita. Invece i giudici hanno soppesato e valutato il tenore di vita come se si trattasse di soldi. E giudicato il peccatore come un delinquente. “Troppo Stato conduce alla non libertà”, dice Popper. E il peccatore Formigoni è stato condotto in carcere.