La giurisdizione è difesa dei diritti. Ma mai in tempi complicati come questi per il rapporto fra potere e opinione pubblica, la giurisdizione è anche costretta a difendere se stessa. Una consapevolezza che pervade la magistratura in tutte le sue declinazioni e che è apparsa tra i motivi prevalenti all’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tar del Lazio, celebrata ieri presso la sede di via Flaminia. Carmine Volpe, presidente del Tribunale amministrativo che è un unicum europeo per peso di competenze, mette in cima alla propria relazione due constatazioni. «L’anno trascorso, a differenza del 2017, è stato abbastanza tranquillo per questa istituzione», dice innanzitutto, «consentendo di lavorare serenamente e proficuamente: forse si è preso atto che non costituiamo intralcio alla crescita del Paese».

Un filo d’ironia che rimanda alle aspre critiche piovute sui giudici amministrativi soprattutto nel periodo del governo di Matteo Renzi, più di una volta vinto dalla tentazione di additare i Tar come un fatale ostacolo allo sviluppo. Sempre all’inizio del suo discorso, Volpe segnala la sua scelta di «innovare la prassi», giacché quest’anno, spiega, «ho inteso dare la parola agli avvocati». Sono infatti invitati a intervenire alla cerimonia inaugurale sia «l’avvocato generale dello Stato che il presidente del Consiglio nazionale forense». Scelta che il vertice del Tar del Lazio spiega con il dato che vede «gli avvocati protagonisti della vita di questo Tribunale assieme ai magistrati e al personale amministrativo». Riecheggia in tale semplice constatazione il riferimento ripetuto spesso nei dibattiti sulla giustizia: magistratura e avvocatura si trovano mai come in questa fase a condividere non solo l’esercizio quotidiano della giustizia, ma anche la risposta alle pressioni esterne. Come le contestazioni inscenate alla lettura di sentenze deludenti - soprattutto dai familiari delle vittime nel penale - e l’assedio del sistema mediatico. Non a caso, proprio alla «presenza di tante forme di condizionamento» e alla risposta comune di «magistrati e avvocati» è dedicato l’intervento del presidente del Cnf Andrea Mascherin ( che riportiamo integralmente in queste pagine, ndr).

VOLPE: GRAVI CARENZE NEGLI ORGANICI

Nonostante le spinte e controspinte da cui potrebbe essere squassato, il Tribunale amministrativo di Roma, fa notare il suo presidente, ha continuato «l’opera di garanzia della legalità», al fine di «assicurare l’osservanza della legge e delle regole secondo principi di indipendenza, imparzialità e terzietà» fra amministrazione e cittadino. Lo si è fatto pur in presenza di carenze d’organico persino aggravate, soprattutto rispetto alla crescita dei ricorsi: «Si è registrato un incremento dei depositi, rispetto al 2017, del 15,8 per cento: da 13.407 a 15.527». Un carico fronteggiato con una «situazione di immutata criticità riguardante l’organico del personale». Sia riguardo alla magistratura, con «60 giudici in servizio rispetto a una pianta organica di 86, per una scopertura del 30,2 per cento» ; sia in fatto di amministrativi, «con soli 26 funzionari al lavoro sui 37 previsti». Il risultato? Positivo se si considera che c’è stata sì una flessione, ricorda Volpe nel suo intervento, «del 4,5 per cento delle sentenze definitive emesse», ma che comunque «il rapporto tra ricorsi definiti e quelli pervenuti nel 2018 ha fatto registrare un saldo positivo pari all’ 1,06 per cento: 16.519 contro 15.527». Segno che si tiene duro rispetto alla gestione dell’arretrato, con 53.101 ricordi pendenti, circa 1.500 in meno rispetto al 2017, ma che «la vera rivoluzione», cioè la piena fiducia da parte degli utenti dell’istituzione Tar del Lazio» sarà raggiunta solo a condizione di mettere insieme alcuni tasselli decisivi, primo dei quali, appunto, «la copertura dell’organico della magistratura e dei funzionari di questo Tribunale».

L’appello è inevitabilmente rivolto al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, organo di autogoverno che, segnala il presidente Volpe, «in mancanza di riforme» dovrebbe «riconoscere una volta per tutte la situazione di assoluta specialità di questo Tribunale, che, considerate competenze e ruolo, non può essere trattato allo stesso modo di tutti gli altri Tribunali amministrativi».

LEO: TROPPO CLAMORE SUI CASI DISCIPLINARI

La cerimonia è occasione per mettere in luce anche altre zone grigie che stringono la giurisdizione, amministrativa e non solo. Con il presidente del Cnf Mascherin intervengono anche Maurizio Leo, vicepresidente del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, e l’avvocato generale dello Stato Massimo Massella Ducci Teri. È il primo a ricordare il sempre difficile sforzo di equilibrio a cui è sottoposta la magistratura dei Tar e di Palazzo spada. Da una parte «il ruolo rilevante dei giudici, che si occupano di limitare e verificare il legittimo esercizio di poteri particolarmente pervasivi. Dall’altra, una evidente esigenza di «rendere tempestiva ed efficiente la risposta all’attesa di giustizia amministrativa». Ma Leo mette al primo posto «l’etica pubblica del magistrato, che va preservata». Ricorda l’esercizio dei poteri disciplinari a cui il Cpga ha fatto ricorso nel 2018, fino alla «destituzione di un consigliere di Stato, caso di grande clamore mediatico», con riferimento alla vicenda Bellomo. Ma ricorda anche la necessaria «riforma del procedimento disciplinare», i cui limiti in effetti emersero proprio con il consigliere che aveva imposto un incredibile dress code alle giovani frequentatrici del suo corso. Tale riforma, che si attende dal governo, secondo il vicepresidente Leo dovrà però anche evitare che «i circuiti mediatici possano distorcere la realtà dei fatti e condizionare così le valutazioni». Ed è per questo, aggiunge, che il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, «ha adottato nuove regole in fatto di trasparenza». Persino nei casi in cui sono le toghe a trovarsi al centro di procedimenti giurisdizionali, si pone dunque il problema del condizionamento mediatico.

DUCCI: INTERPRETIAMO LEGGI SCRITTE MALE

Su un’altra emergenza si è soffermato invece Ducci Teri, ossia il peso, che finisce per ricadere proprio sulla magistratura, di «assicurare stabilità agli orientamenti giurisprudenziali», a fronte del «carattere asistematico degli interventi legislativi» e di «tecniche non fluide» nella scrittura stessa delle leggi, che «rendono più difficile il compito di chi, come avvocati e magistrati, deve interpretare le norme». Rilievo non da poco: secondo l’avvocato generale dello Stato, tocca agli operatori del diritto, in primo luogo al magistrato, compreso quello amministrativo, esercitare tale particolarissima forma di supplenza. «Una manifestazione dei principi di certezza del diritto e sicurezza giuridica sottolineati dal presidente del Consiglio di Stato Patroni Griffi nel discorso d’insediamento, e trattati anche al convegno itinerante dell’Associazione magistrati amministrativi», ricorda. L’avvocatura dello Stato, da parte sua, assicura Ducci Teri, «continuerà a impegnarsi per sollevare il più possibile il Tar del Lazio dal compito gravoso che incombe». Ma tutto passa per quell’equilibrio tra «il principio della soggezione del giudice alla legge è quello della certezza del diritto». Sfida complicata in cui si rischia di essere assediati dalla coltre di nebbia descritta da Volpe alla fine del suo intervento, anche con l’opera del pittore romantico Friedrich riprodotta sulla copertina della sua relazione, nebbia che «solo le cime svettanti dei principi costituzionali aiutano a diradare».