La festa per i 110 anni dell’Associazione nazionale magistrati non ha fatto mancare i messaggi trasversali. Quelli della magistratura alla politica, con il lungo intervento del presidente dell’Anm Francesco Minisci, e quelli della politica alle toghe, con la replica del ministro della giustizia Alfonso Bonafede. Il messaggio di Minisci è stato chiaro: nessuno è al di sopra della legge, politici compresi. Un chiarimento indirizzato, senza mai farne il nome, al ministro dell’Interno Matteo Salvini, per il quale il tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzazione a procedere in relazione alla vicenda Diciotti. Ma quello di Minisci è stato più in generale un richiamo al rispetto dei valori della magistratura, non solo da parte della politica, ma anche da parte dei consociati. «L’associazionismo giudiziario» non va confuso con «l’imparzialità dei magistrati», senza perciò assolvere gli stessi dalle derive del correntismo, così come «dalle logiche spartitorie ed autoritaristiche». Ma la magistratura, ha sottolineato, non può supplire alle carenze della politica. Senza superare i propri limiti, tra i doveri assegnati dalla Costituzione «c’è l’obbligo di svolgere indagini. Nessuno è al di sopra della legge, neppure gli esponenti politici».

Le richieste alla politica sono strumenti legislativi in grado di agevolare la lotta alla mafia e alla corruzione e la soluzione, definitiva, dei problemi legati all’edilizia giudiziaria, il cui caso esemplare è quello di Bari. Per questo l’Anm ha chiesto al ministro della Giustizia un piano straordinario di risorse per i tribunali e per coprire i vuoti di organico, nonché una pianificazione sistematica dei concorsi per nuovi magistrati. Ma è necessario anche snellire le procedure, evitando riforme «sull'onda emotiva, perché fanno più danni di quelli che intendono evitare». Altro tema è quello del rapporto del singolo magistrato con i mezzi di informazione. Ferma restando la libertà di pensiero, «va stigmatizzata la ricerca dell’esposizione mediatica», rigettando «l'ottica della tifoseria e la ricerca del consenso popolare».

Il vicepresidente del Csm, David Ermini, si è invece soffermato sulla forte domanda di giustizia e sulla necessità di tutelare la piena dignità di tutti i soggetti. «Viviamo tempi ad alto tasso mediatico - ha sottolineato - in cui, sovente, la comunicazione della Giustizia sconfina fatalmente e pericolosamente nella spettacolarizzazione dei processi, in una narrazione superficiale e deviante». Occorre, dunque, fuggire dai narcisistici eccessi di protagonismo e «dall’alimentare il circo massmediale garantendo piuttosto trasparenza e comprensibilità» al proprio agire giudiziario, che non può e non deve subire ingerenze dall’opinione pubblica. Dal canto suo, il ministro Bonafede ha assicurato «dialogo» - esteso anche al mondo dell’avvocatura - specie in vista della revisione del sistema processuale civile e penale, con l'obiettivo «di semplificare la giustizia italiana». Partendo da un dato: circa il 30,7 per cento della popolazione ha rinunciato ad intraprendere un'azione giudiziaria, «perché sfiduciata». Senza un importante intervento riformatore, dunque, «la giustizia è destinata al collasso». Nella legge di bilancio, ha evidenziato Bonafede, «è stato predisposto un piano assunzionale straordinario» e un aumento dei fondi di oltre 324 milioni di euro rispetto al 2018. Quanto all’edilizia, è allo studio la costituzione di un gruppo di tecnici che possa occuparsi, nel breve e nel lungo termine, delle problematiche. La linea ministeriale, ha poi assicurato, sarà priva di ingerenze nel lavoro della magistratura, ma altrettanto importante, ha aggiunto quasi in risposta a Minisci, «è l'autonomia della politica nell'adozione delle proprie scelte».