«Confidiamo che gli operatori del diritto possano essere ascoltati. A maggior ragione nel momento in cui parlano con una voce sola. Il mio auspicio è che il governo, nel ritoccare il processo penale, segua le indicazioni offerte in modo condiviso dall’Associazione magistrati e dall’avvocatura. A cominciare dal rafforzamento dei riti alternativi, che tutti gli studiosi da anni indicano come la via maestra per ridurre i tempi della giustizia penale». Giuseppe Cascini, togato del Csm espresso da Area ed ex segretario dell’Anm, ha appena ascoltato l’intervento del guardasigilli Alfonso Bonafede all’evento organizzato dall’Associazione per i propri 110 anni. Il ministro assicura che i suoi uffici «sono già impegnati a scrivere la riforma che renderà più veloci i processi». Ma intanto un primo segnale in arrivo è l’eliminazione del rito abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo. La legge in questione è a un passo dall’approvazione definitiva. «Abbiamo segnalato le diverse criticità che una simile modifica comporterebbe», spiega Cascini, che ha firmato il parere del Consiglio superiore sulla riforma dell’abbreviato. «Un segnale in controtendenza rispetto alla strada indicata da noi magistrati insieme con tutti gli altri operatori del diritto: rafforzare i riti alternativi, anziché indebolire l’unico che già funziona davvero».

È ragionevole pensare che si arrivi a una riforma del processo condivisa da governo, magistrati e avvocati? Farei una premessa. Tutte le discussioni sulla giustizia penale partono sempre da un dato di fondo: c’è un numero eccessivo di processi, e per questo la macchina giudiziaria non è in grado di rispondere in tempi celeri. Il secondo punto, su cui tutti gli studiosi insistono da 30 anni, da quando è entrato in vigore il modello accusatorio, è che l’unica via d’uscita per assicurare il buon funzionamento della giustizia penale è il rafforzamento dei riti alternativi. Nelle intenzioni di chi scrisse la riforma dell’ 88, avrebbero dovuto applicarsi ai due terzi dei procedimenti. Non è andata così. Ed è per questo che il sistema tende a restare ingolfato.

Adesso il legislatore dice: non va bene che, grazie al rito abbreviato, chi doveva prendere l’ergastolo se la possa cavare con 30 anni, quindi eliminiamo l’abbreviato per quei reati più gravi. Vuol dire appunto andare in controtendenza rispetto alle considerazioni che tutti gli operatori del diritto ripetono e che ho appena ricordato.

Quindi un punto d’incontro fra la politica e chi sta nelle aule di giustizia è impossibile? Io aspetto con interesse le proposte del governo, che il ministro ha appena annunciato come imminenti. Dico solo che dalla legge sull’abbreviato arriva un segnale che va nella direzione esattamente contraria a quella auspicata da magistrati e avvocati.

La politica è sempre più scettica rispetto a interventi che l’opinione pubblica potrebbe considerare troppo morbidi? Tutti gli studiosi di sociologia criminale insegnano che la deterrenza non viene dall’entità della pena minacciata ma dalla celerità della pena effettiva. È quest’ultima ad aver effetto dissuasivo. Una sanzione applicata in tempi rapidi, a breve distanza dal fatto, è meglio di una pena più aspra, declamata, ma che non arriva in modo tempestivo.

E perché questo discorso non passa? Io dico semplicemente che se il legislatore non segue quel tipo di politica criminale, si allontana dal principio di realtà. Ci si accontenterebbe di emanare grida, mentre noi abbiamo bisogno di risposte che siano effettive.

L’Anm è pronta a insistere, in modo condiviso con l’avvocatura penale, su alcune priorità, come i riti alternativi e la depenalizzazione, anziché sollecitare altri interventi che invece agli avvocati non piacciono, come la reformatio in peius. Condivide la strategia? Sì, sono d’accordo con le scelte dell’Associazione. Ecco, direi proprio che in questo caso l’Anm si lascia guidare dal principio di realtà. Ognuno degli operatori del diritto ha le proprie idee, su tanti aspetti diverse, per la riforma del processo. Ma è assai più efficace un’indicazione che arrivi in modo condiviso da magistrati e avvocati. Sarebbe bene che governo e Parlamento prendessero atto di tali indicazioni, che riconoscessero il valore e l’attendibilità di proposte concordate dai protagonisti della giurisdizione. Ecco perché la strategia scelta dell’Anm è giusta.

Nel parere che lei ha redatto con un altro consigliere, Ciambellini, e che il plenum del Csm ha approvato a larga maggioranza, si segnala come senza l’abbreviato si rischi di avere un problema di effettività della pena proprio per quei reati da ergastolo. Sarebbe così sia perché i procedimenti diverrebbero assai più lunghi sia perché proprio questo allungamento esporrebbe in molti casi alla scadenza dei termini di custodia cautelare. Cioè ci troveremmo di fronte al paradosso per cui una riforma orientata a ottenere più rigore produrrebbe l’effetto opposto.

Con l’abbreviato chi è accusato di reati gravi non uscirebbe dal carcere se non dopo decenni. Senza, c’è il rischio che quelle stesse persone tornino libere perché il processo non è finito. È così. Nel parere ricordiamo che in certi casi a determinare condanne non adeguate è la combinazione fra lo sconto di pena previsto dall’abbreviato e gli effetti delle attenuanti. Basterebbe intervenire su queste ultime, anziché rinunciare al rito che oggi viene adottato nei due terzi dei procedimenti su reati da ergastolo.

L’obiezione è: si tratta di poche migliaia di processi, non ne vale la pena. Ma sono processi che finirebbero tutti nelle corti d’assise, le quali ne sarebbero pericolosamente appesantite. Spesso si tratta di omicidi legati al traffico di droga o di armi: se alcune posizioni non potranno più essere definite con l’abbreviato, avremo tanti maxiprocessi. E con i maxiprocessi il rischio di scadenza termini di custodia cautelare si moltiplica. Anche da questo punto di vista, come si vede, si otterrebbe un effetto opposto a quello cercato dal legislatore.

La ricerca di maggiore severità è cattiva consigliera. C’è un altro problema molto serio: quello dei collaboratori di giustizia. Oggi l’incentivo a collaborare viene proprio dalla possibilità di ottenere gli sconti di pena previsti dall’abbreviato e di poter evitare di stare in giudizio insieme con gli altri imputati. Se eliminiamo quell’incentivo, ci troveremmo di fronte a un problematico calo delle collaborazioni.

Tutti questi alert arrivano da chi sta nelle aule di giustizia e sono rivolte a una compagine governativa molto giovane: proprio questo non dovrebbe far sperare di trovare maggiore ascolto? Sono sempre state l’ambizione e la speranza coltivate dalla magistratura. Il contributo di riflessione che si continua a offrire, sia da parte del Csm che dell’Associazione magistrati, si ispira proprio a tale approccio collaborativo. Non pretendiamo di adottare noi le soluzioni normative, ma crediamo che se la magistratura e l’avvocatura riescono a trovare insieme strade ragionevoli, sarebbe saggio prestare ascolto.