«La trattativa Stato-mafia come elemento scatenante della strage di Via d’Amelio? È una mia deduzione scaturita dal processo sulla trattativa, perché nessun mafioso ne faceva cenno». In compenso, l’unico elemento certo per testimonianza diretta è che il motivo scatenante è stato il maxiprocesso, anche se ammette in una precisa domanda fatta dall’avvocato Giuseppe Seminara -, c’era anche preoccupazione per il dossier mafia- appalti. Quindi una deduzione fatta a posteriori quando si svolse il processo sulla trattativa e due elementi certi per testimonianza diretta. A parlare è il pentito Ciro Vara sentito come test durante il processo che vede imputati i tre poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra. Parliamo del primo giorno di trasferta a Roma per il collegio del tribunale di Caltanissetta, presieduto da Francesco D'Arrigo.

Ciro Vara, già appartenente, anche con posizione di vertice, alla cosca mafiosa di Vallelunga Pratameno, dopo un periodo di latitanza, si è costituito il 26 aprile 1996 ed ha iniziato a collaborare con la giustizia dal 5 dicembre 2002. Si avvicina a cosa nostra, in particolare alla famiglia dei Madonia, negli anni 70 e, in seguito strinse amicizia con Piddu Madonia. Per inquadrare meglio, ricordiamo che il mandamento di Vallelunga Pratameno, comprendeva le famiglie di Caltanissetta, San Cataldo, Marianopoli e Villalba. Giuseppe “Piddu” Madonia - originario di Vallelunga Pratameno ha ricoperto la carica di reggente provinciale di Cosa Nostra ed è riuscito in passato ad estendere l'influenza del mandamento anche in talune zone di Enna e di Catania. L'arresto di Madonia e gli arresti conseguenti la collaborazione di Ciro Vara avevano spinto le famiglie del mandamento verso una ristrutturazione profonda.

Di cosa ha parlato sostanzialmente Ciro Vara? Cose già dette durante altri processi con l’aggiunta di mafia appalti, scaturita da una precisa domanda fatta dall’avvocato difensore dei poliziotti Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Ma non solo, ha anche dovuto ammettere che la trattativa non era mai stata nominata dai boss mafiosi, ma che c’è arrivato tramite una deduzione ascoltando il processo di Palermo sulla trattativa.

Rispondendo alle domande del pm Luciani, Vara ha riferito dei vari tentativi di aggiustamento del maxi processo tramite l’avvicendamento di alcuni magistrati e soprattutto persone del mondo imprenditoriale. Poi racconta di un colloquio avvenuto in carcere con Giovanni Napoli ( ex fedelissimo di Provenzano). «Ad un certo punto – racconta il pentito - Napoli mi disse che dopo la strage di Capaci Peppino Comparetto ( uomo d’onore di Prizzi, nel palermitano) aveva avvicinato il presidente del tribunale di Palermo Piraino Leto, suocero di Paolo Borsellino, e gli aveva detto che Borsellino si doveva mettere da parte, Piraino Leto lo aveva però mandato a quel paese». Il pentito Vara dice che quel “mettersi da parte' era riferibile alla trattativa che era in corso tra Stato e mafia. Ma è qui che poi interviene l’avvocato Seminara durante il controesame. «Lei – domanda l’avvocato - ha fatto riferimento al tentativo di avvicinamento del suocero e per questo ha detto che successivamente ha pensato a questa vicenda come ricollegabile ' ad un'opzione di trattativa', piuttosto che agli incarichi che avrebbero potuto toccare a Borsellino. Questa è una sua deduzione?» Risponde Vara: ' No io quando Napoli mi dice questa cosa, noi parlavamo delle stragi a cavallo tra Capaci e Via d'Amelio. Quando durante il processo sulle stragi mi facevano le domande, il magistrato Messineo in particolare nel 2002- 2003 mi chiedeva ' ma perché si doveva no mettere da parte?' in quel periodo non sapevo il motivo, nessuno mi aveva parlato che c'era una trattativa e dicevo ' ma forse perché lo volevano fare procuratore nazionale antimafia' ». Vara aggiunge: «Poi quando è venuta fuori il discorso della trattativa avanzata dai Pm di Palermo io ho collegato che quella frase si riferiva a quello». L’avvocato, sempre nel controesame, a quel punto gli dice: «E' una sua deduzione quindi. Se lei successivamente acquisisce degli elementi, fa una ricostruzione sulla base di una sua deduzione, cioè attribuisce a una o ad un'altra ipotesi una valenza che dipende dalla sua interpretazione». Vara ammette che si tratta di una deduzione e cerca anche di darne una spiegazione: «Ma perché in Cosa Nostra bastava una frase. Il dott Napoli mi ha detto una frase con un ghigno e io l'ho conservato, la sua espressione il suo tono, la sua frase è sempre una mia deduzione. A me nessuno ha detto che c'era una trattativa». Il pentito Vara ha solo una certezza, come fonte diretta: il motivo della strage è nel maxiprocesso. A questo però si aggiunge anche un’altra preoccupazione, certa, che avevano i mafiosi. L’avvocato gli domanda se sapesse del dossier mafia appalti. «Sì, lo seppi proprio da Madonia nel 91 – risponde Vara - perché era coinvolto Angelo Siino che era un collettore di tangenti di politici e imprenditori verso i mafiosi e lui portava tanti soldi a Madonia». Poi aggiunge: «Nel 91 mi parlava di mafia appalti e c'era preoccupazione nel mondo imprenditoriale e politico». La preoccupazione dell'indagine dei Ros era contestuale alla pendenza del procedimento, visto che l'informatica viene depositata nel 1989 in Procura su insistenza di Giovanni Falcone.

L'avvocato Seminara chiede al pentito se ha notizia che l'indagine mafia appalti potesse costituire «un antefatto o una causa» sull'omicidio di Borsellino. Risponde Vara che Madonia gli disse solo che era la sentenza del maxiprocesso e la preoccupazione dell’esito della cassazione il motivo della pianificazione delle stragi. Ma il pentito Vara poteva sapere tutto fino in fondo? No, perché ammette che alla Commissione Regionale in cui si decidono le stragi, lui non era presente. In sintesi, soprattutto sulla cosiddetta trattativa, solo deduzioni a posteriori.