Una rosa è una rosa è una rosa, diceva Gertrude Stein, poetessa americana tra le maggiori del novecento. Un giornale è un giornale è un giornale, parafrasava Luigi Pintor, giornalista italiano, anche lui tra i migliori del secolo scorso. Cosa volevano dire? Che non servono aggettivi, avverbi, parafrasi, interpretazioni, valutazioni, calcoli.

Una rosa è quello: una rosa. È indiscutibile. Così un giornale. Per essere davvero un giornale - diceva Pintor - deve essere un giornale e non uno strumento di qualcosa di esterno a un giornale.

Parafrasiamo ancora: una vita. Una vita è una vita, specialmente una vita umana. Non ha colore. Né di pelle né politico.

Se affrontassimo da questo punto di vista la questione dei salvataggi in mare dei profughi africani, tutto, forse, sarebbe più semplice. Salvare una vita umana è un gesto semplice, netto e sublime. Salvare una vita, una sola vita, è come salvare il mondo intero, c’è scritto nel Talmud, che è il testo fondamentale della religione e della cultura ebraica. Non è così?

Forse dovremmo partire da qui per affrontare senza ideologie e senza faziosità o polemiche il problema dei profughi nel Mediterraneo. Qual è la sostanza del problema? Che stiamo assistendo da diversi anni ad un olocausto nel Mediterraneo, cioè nel nostro mare. In meno di un mese ci sono stati più di trecento morti accertati. Se qualcosa non cambia rischiamo di arrivare a tre o quattromila morti nel 2019. E’ giusto ragionare sulle cause, sui rimedi, sulle strategie. Ma solo dopo esserci detti: ora, intanto, salviamoli. Senza riserve mentali e con generosità. Tutti.

I centodiciassette morti di sabato non possono non essere una pietrata sulle coscienze di tutti. L’idea di cercare una polemica politica su una sciagura di questo genere è fuori dal mondo. Mettiamo da parte le polemiche, decidiamo invece di mettere in mare un numero sufficiente di mezzi in grado di salvare tutti. Poi decidiamo tutto il resto: le politiche migratorie, i permessi di soggiorno, i metodi dell’accoglienza, i rapporti con l’Europa, le cause della diaspora.

Domenica Di Maio e Di Battista hanno iniziato una polemica con la Francia. Hanno detto che è stato ed è il colonialismo francese la causa della povertà in Africa. Sicuramente, in parte, lo è. Lo sono stati anche il colonialismo britannico - soprattutto - e italiano, spagnolo, portoghese, belga, olandese, tedesco. Diciamo europeo. Ogni tanto, prima ancora di Di Maio, qualcuno aveva già provato a dirlo. Tipo i padri comboniani, per esempio. Tirandosi addosso le ire soprattutto dei settori più xenofobi della politica italiana ed europea. Certo che è così, certo che la civiltà europea ha un debito immenso con l’Africa, ma questo non cambia le cose. E soprattutto è difficile far discendere da questa constatazione la richiesta di bloccare l’esodo. Se dobbiamo qualcosa, o molto, alle popolazioni africane, diamogli qualcosa, direi, e non sbattiamogli la porta in faccia indignati. Non vi pare?

Ma al di là di questa considerazione - che riguarda il rapporto tra Europa ed Africa e le politiche di accoglienza - ora l’urgenza è fermare l’Olocausto. Se non lo fermiamo sarà tutta la civiltà europea a pagare un prezzo altissimo, di fronte alla storia.

E’ inutile costruire grandi polemiche su questo. Le responsabilità delle stragi sono molteplici, e riguardano tutti i partiti. Gran parte dei partiti e dell’opinione pubblica italiana ieri ha accolto con sollievo la notizia che i libici erano intervenuti e avevano preso a bordo i naufraghi dell'ultimo gommone. I naufraghi però non erano contenti. Volevano venire in Italia, o in Spagna, o andare a Malta. Sapevano, sanno, che le motovedette libiche li avrebbero portati nei campi di concentramento, dove li aspettano molte sofferenza e forse la morte. E’ colpa di Salvini, tutto questo? Certo non solo di Salvini. Il precedente governo non ha fatto molto per salvare i naufraghi. E la magistratura ha fatto ancor meno.

Non è stato Salvini ( che pure se ne vanta) ma il governo di centrosinistra e la magistratura a scacciare dal Mediterraneo le navi del soccorso. Le famose Ong. E dunque non è il caso che nessuno accenda uno scontro ideologico. Ora diciamo solo: c’è una emergenza umanitaria. Interveniamo. Coi mezzi militari, con la Marina con le Ong. Obiettivo: zero morti. Poi ognuno deciderà quale politica sostenere per i migranti. Restando, insieme, fermi all'idea che, comunque, una vita è una vita.