Il New Yorker, che pure è un raffinato periodico della sinistra intellettuale americana, ebbe a definire qualche anno fa il conservatore sir Roger Vernon Scruton (nato a Buslingthorpe, in Inghilterra, il 27 febbraio 1944) come «il più influente filosofo contemporaneo». Ovviamente, è difficile e forse pure errato (sicuramente inutile) mettere su una scala gerarchica i pensatori, anche perché la loro fama dipenderà dai posteri e da ciò che leggeranno in ognuno di loro ( Hans Georg Gadamer parlava di «storia degli effetti»).

Fatto sta che, ad una lettura attenta della sua opera, vasta per quantità di pubblicazioni ma anche per la varietà dei temi affrontati, Scruton può essere definito uno degli ultimi pensatori in senso classico dell’Europa (forse solo Edgar Morin lo uguaglia in questa cifra). Pensatore classico significa che Scruton ha un solo problema: capire l’uomo, o forse meglio l’uomo della nostra civiltà, in tutti i suoi aspetti. E quindi non può fermarsi di fronte agli steccati delle discipline e non può non unire a una cultura analitica e pregna di senso storico quella capacità di sintesi “enciclopedica” che hanno solo i grandi.

I leit motiv del suo pensiero si legano e organizzano quindi con logica conseguenzialità intorno a una serie di temi fondamentali che delineano un tutto organico e una compiuta visione dell’uomo e del mondo. Proprio per la vastità dei temi affrontati, il compito di introdurre al pensiero del filosofo inglese in poche pagine, come si è proposto di fare Luigi Iannone, aveva un che di proibitivo.

Una vera e propria sfida quella dell’autore, il cui risultato è Roger Scruton un agile libro che si presenta come una voce di dizionario, si legge facile e che ha preso posto nella raffinata collana di “Profili” diretta da Gennaro Malgieri per i tipi dell’editore Fergen. Lo stesso Malgieri, nell’introduzione al volumetto, definisce Scruton un poligrafo, elencando le sue molteplici attività: filosofo, studioso di estetica e organizzatore culturale, musicologo, giornalista e commentatore di giornali e tv, agricoltore e produttore di vino nella sua fattoria nella campagna inglese ( ove organizza anche incontri e seminari). Iannone segue un percorso molto lineare, insistendo sull’importanza, per Scruton, del tema identitario. Su di esso bisogna però intendersi, sia perché l’identità delimita il senso del suo conservatorismo, sia perché essa non è concepita affatto da lui nel senso della chiusura astratta che è propria in questo momento storico di alcuni movimenti politici non solo europei.

Il conservatorismo di Scruton, come quello dei suoi due grandi maestri la cui eredità vuole in qualche modo recuperare ( Edmund Burke e Thomas Eliot), è dinamico, attento alle esigenze della civiltà moderna e anche dell’oggi più immediato. Esso pretende solamente che ogni trasformazione si innesti in un terreno di continuità e gradualità e non si ponga come un reset completo e immediato del passato. La Tradizione è infatti un serbatoio di idee, costumi, abitudini di vita e sociali, anche di “senso comune”: in essa l’uomo ha sedimentato la propria esperienza sulla strada dell’adattamento al mondo e quindi della civiltà.

Essa non è immutabile, anzi persino esige il cambiamento, ma pretende rispetto. Proprio questa mancanza di rispetto per le origini o per le radici, è stata all’origine di molte delle tragedie dell’età moderna. Ma essa, seppur in altro modo, è presente anche oggi nelle nostre democrazie e segna la crisi della nostra civiltà. «Una sorta di isteria da ripudio – scrive Scruton- infuria nei circoli europei che creano l’opinione pubblica e prende di mira una ad una le antiche e consolidate abitudini di una civiltà bimillenaria, proponendole o distorcendole in una forma caricaturale che le rende appena riconoscibili».

Quella che si è creata, potremmo dire sulla spinta del razionalismo e dell’illuminismo, è l’oicofobia, come la chiama Scruton, cioè una paura della propria casa, di ciò che va curato e accudito perché trasmessoci dai nostri padri. È in quest’ordine di discorso che si inserisce la rivalutazione da parte di Scruton, in chiave assolutamente democratica, dell’idea di Nazione. Ammesso che «il nazionalismo è un elemento patologico della lealtà nazionale», il pensatore inglese osserva che storicamente le nostre libertà e la nostra democrazia si sono affermate nella cornice dello stato- nazione. E non è un caso. Le istituzioni liberali e democratiche possono affermarsi solo incarnandosi nel concreto, non in quell’ottica globalista basata su un individuo astratto e spogliato di ogni sua particolarità storica e contingente che è propria delle organizzazioni sovranazionali e della stessa Unione europea così come è venuta prendendo corpo nel corso degli anni.

Una politica di libertà, e lo stesso liberismo, può affermarsi, in altre parole, solo se c’è una lealtà di fondo fra i cittadini, e questa può essere data solo da un’appartenenza “che scaturisce dalla cultura, dalla nazione e da Dio”. Nel Manifesto dei conservatori, che Scruton pubblicò qualche anno fa, sottolinea Iannone, «viene invocato un fronte conservatore lontano da retrive formule revanchiste ma che non receda sul piano delle libertà economiche e del libero mercato. Vale a dire non si reprima in un solipsismo che rasenti il ” reazionario’” e in una chiusura ad ogni confronti con l’esterno. In una condizione di questo tipo, dove i valori di riferimento vengano ripristinati, sarà pure possibile realizzare l’idea, oggi peregrina, di un liberismo connesso agli Stati nazionali, correlazione che negli scritti scrutoniani ritorna con una certa frequenza». In effetti, scrive Scruton, lo Stato nazionale è proprio ciò che rende possibile il liberismo in quanto «definisce una fedeltà condivisa ad un luogo, a una storia, ad una lingua e a una rete di legami locali. Solo su questa base, la gente si fiderebbe l’uno dell’altro tanto da permettere quelle libertà che altrimenti potrebbero sembrare minacciose» . Proprio perché sono elementi “spirituali” quelli che per Scruton segnano l’appartenenza e l’identità, ogni accusa di xenofobia o peggio di razzismo è battuta in breccia. L’oicofilia che egli oppone all’oicofobia è anche inclusiva, ma solo nella misura in cui gli altri rispettino le non immutabili tradizioni dei popoli ospitanti. L’oicofilia significa poi attenzione all’ambiente che si è ereditato, umano e culturale. Proprio perché esso va preservato, non imbalsamato, Scruton si considera ambientalista ed ecologista. Egli ritiene anzi che l’ecologismo sia una di quelle buone cause che il conservatore deve sottrarre alla sinistra, depoliticizzandola e deideologizzandola. «L’ambientalismo – scrive- è la quintessenza della causa conservatrice, l’esempio più vivo nel mondo, come lo conosciamo, di quel partenariato fra i morti, i vivi e i non ancora nati, di cui Burke faceva l’apologia e vedeva come l’archetipo del conservatorismo. Il conservatorismo non vuole portare ad alcuna riforma radicale della società o all’abolizione dei diritti e dei privilegi ricevuti dal passato. Dunque, l’ambientalismo “non è una vera e propria causa di sinistra».

C’è in effetti, nel nostro autore, la tendenza a depurare da ogni ideologismo, e quindi a includere nella propria visione, molte idee progressiste: il suo è un discorso che tende sempre alla ricerca di una misura e di un equilibro, diciamo pure di un’armonia. Da qui le sue riflessioni si estendono quasi naturalmente al tema della bellezza, che è al centro di una parte importante della sua produzione scientifica.

Nelle sue pagine c’è forte la critica alla decadenza del gusto, all’affermarsi del Kitsch o di ciò che è semplicemente funzionale o utilitaristicamente appropriato ( come si vede in certa urbanistica). I critici, per pura esigenza di mercato, avvalorano questo gusto, e anche un’idea di bellezza come capriccio e soggettività. Con ciò essi contribuiscono non poco alla distruzione di quei valori spirituali che hanno sempre temperato, nella nostra civiltà, gli interessi materiali. Su valori puramente utilitaristici ha preteso invece di costruirsi la stessa Unione Europea, dicevamo. E questo è stato il motivo che l’ha portata alla crisi attuale. Si sono rigettate le origini cristiane della nostra civiltà e si è pensato di poter costruire una coesione fra popoli diversi, seppur uniti appunto dal cristianesimo, su basi puramente procedurali e quindi burocrati- che e centralizzatrici del potere. Scruton è anglicano, ma qui non fa problema di adesione ad una particolare religione, bensì a quella koiné e a quei valori che il cristianesimo ha trasmesso al nostro mondo. Ciò significa assumere anche un atteggiamento di umiltà e rispetto verso il mondo, consapevoli che «per la maggior parte degli esseri umani la religione è sempre stata l’umiltà davanti al volto della creazione». «Non si tratta di definire – scrive Iannone- il pessimismo come stile ed essenza del nostro agire ma confidare nelle consuetudini e nelle tradizioni, nei cambiamenti lenti, nell’idea che i limiti posti alla natura non debbano essere sempre e comunque superati e, allo stesso tempo, combattere le false speranze e l’ottimismo senza scrupoli».

Critico implacabile del multiculturalismo e della mentalità corrente, Scruton, come dicevo, si è molto impegnato nel riformulare, in un’ottica non retriva o reazionaria, alcuni punti dell’ideologia liberal: ad esempio difendendo il femminismo, quando non diventa ideologico e funzionale ad una politica. Particolarmente interessante, e Iannone vi dedica ampio spazio, è considerare come Scruton affronta il problema dei “diritti degli animali”.

Ovviamente per lui, titolari di “diritti” possono essere solo gli esseri umani. Ciò però non significa che noi non abbiamo doveri verso di essi: ce li assumiamo nel momento stesso in cui li facciamo dipendere da noi per la loro esistenza.

La compassione e la pietà sono importanti sentimenti umani, e così pure il dovere di preservare l’ambiente naturale che ci è stato trasmesso o abbiamo ereditato. Gli animali, come tutto ciò che appartiene alla natura e al creato, vanno rispettati. Lo stato d’animo, la Stimmung direbbero i tedeschi, con cui porsi di fronte al mondo è, per Scruton, cautamente ottimistica o, se si preferisce, moderatamente pessimistica nella misura in cui è scettica verso le grandi trasformazioni della realtà affidate all’uomo. La speranza, che è stato il valore che ha mosso i progressisti, proprio perché riposta in cose che andavano oltre le umane possibilità, si è spesso convertita in utopie destabilizzatrici della “natura umana” e foriere di tragedie storiche. Come scrive Gennaro Malgieri a proposito di un altro libro recente di Scruton, la raccolta di saggi Confessioni di un eretico, l’obiettivo “politico” che egli si propone, con la sua opera ( in ampia parte disponibile in italiano), è «una chiamata a raccolta per una difesa tutt’altro che passiva di una civiltà al tramonto, che non è detto che debba necessariamente morire». La nostra, europea e occidentale.