Non solo ci sono prove come i test del Dna e decine di testimonianze che lo scagionerebbero, ma ora c’è anche la perizia fonica della Corte d’Assise di Palermo presieduta dal giudice Alfredo Montalto che dimostra come la voce dell’imputato non corrisponde a quella del vero ricercato che si sente parlare nelle intercettazioni. Parliamo di un eritreo che da tre anni è in carcere con l’accusa di essere lo spietato trafficante di esseri umani Medhanie Yehdego Mered e c’è un processo in corso. Di questa storia si era parlato soprattutto sui giornali internazionali. A luglio del 2017 il New Yorker aveva pubblicato un articolo molto approfondito che metteva in fila le moltissime prove che sostengono la versione dell’imputato sbagliato, così come Il Guardian a firma di Lorenzo Tondo, un giornalista siciliano esperto di cose di mafia che collabora con diversi giornali internazionali.

Il 24 maggio del 2016 in Sudan era stato arrestato un uomo che era stato estradato in Italia il 7 giugno e rinviato a giudizio a settembre del 2017. L’uomo sarebbe però Medhanie Tesfamariam Berhe, eritreo di 30 anni, e non Medhanie Yehdego Mered, uomo di 36 anni originario dell’Eritrea accusato di essere uno dei capi di una grande organizzazione con base in Libia che gestisce il traffico di migranti verso l’Europa, e coinvolto nei viaggi di almeno 13 mila persone. Nel giugno del 2016 il ministero dell’Interno italiano e la National Crime Agency del Regno Unito avevano annunciato con una certa enfasi l’arresto in Sudan e l’estradizione in Italia di Medhanie Yehdego Mered. I magistrati della Procura di Palermo avevano intercettato per mesi il cellulare di Mered raccogliendo informazioni sul suo conto e sulle sue attività. Dopo l’arresto i media britannici avevano cominciato ad avere dei dubbi, scrivendo che la persona arrestata e ora sotto processo fosse in realtà un altro: che non era mai stato in Libia, che non aveva niente a che fare con la presunta rete per il traffico di migranti e che si era dichiarato innocente. Con il trafficante condivideva semplicemente un nome molto comune.

Tante sono le prove portate dal suo avvocato difensore Michele Calantropo, non da ultimo il test del dna che ha dimostrato con assoluta certezza che il figlio del trafficante non è dell’uomo in carcere. Un test, l’ennesimo, che però non è servito a cambiare le sorti del processo.

Ma ieri è giunta la perizia fonica della Corte e si aggiunge, più che un tassello, un dato che potrebbe essere definitivo e abbastanza forte per dimostrare che in carcere c’è la persona sbagliata. È l’avvocato Calantropo, raggiunto da Il Dubbio, a dire che «Dopo tre test del Dna e dopo aver ascoltato decine di testimoni oculari, il risultato della perizia confermano l’innocenza del mio assistito che è sempre dichiarato estraneo ai fatti imputatigli». Dalla perizia, infatti, si evince che, su nove tracce analizzate, 6 sono incompatibili con l’imputato e 3 sono inconclusive. Si è valutato il grado di compatibilità tra le caratteristiche vocali di due soggetti mediante la comparazione delle diverse tracce lasciate. In particolare le informazioni estratte forniscono un supporto, che ha consentito di stabilire in che grado la voce di riferimento e quella anonima siano della stessa persona o se siano di due persone diverse. È stata utilizzata la parola Hello e la parola Heray: sulla prima comparazione dell’uso della prima parola, nel saggio fonico viene pronunciata sempre con la “e” mentre in tutte le voci anonime viene invece pronunciata con la “a” risultando “halo”. Differenze sono state rilevate anche nella pronuncia della parola “heray”: nelle voci anonime risulta sempre molto più aspirata e con una “a” più aperta mentre nel saggio fonico, la parola viene pronunciata in maniera molto più corta e meno aspirata. La perizia segnala che le considerazioni si fanno senza sapere se la voce anonima conosca più dialetti; ciò in evidente coerenza con il fatto che l’uso della lingua e delle vocali con trasformazione di “a” in “e” cambia a seconda del dialetto che si parli. La perizia, basandosi sulle informazioni disponibili, ritiene che «le comparazioni acustiche producano un supporto moderato verso l’incompatibilità» nelle sei tracce. Diversamente, ritiene che «i risultati sulle altre coppie di parlatori siano da considerarsi inconclusivi».