Un Paese Senza. E’ la fotografia che rimanda lo scenario politico delle ultime settimane. Meglio dirlo con chiarezza: la peggiore delle condizioni. Senza crisi, perché nessuno la vuole: né Salvini, né Di Maio, né Conte. E soprattutto il Colle: se si rompe l’unica maggioranza possibile nessuno sa cosa succederebbe dopo. Purtroppo il senza riguarda proprio e precisamente l’involucro gialloverde, slabbrato nella tenuta interna e incattivito nei rapporti politici; condizione destinata a protrarsi almeno fino alle elezioni europee, con tensioni crescenti e paradossalmente del tutto prive di sbocchi. Senza crisi e senza maggioranza: che roba è? Non basta. Si potrebbe aggiungere, e conseguentemente, senza governo. Perché il protagonismo del presidente del Consiglio - allo stato unico antidoto allo stallo - strutturalmente non può nascondere né colmare le divaricazioni dei sottoscrittori del ( ex?) Contratto di governo. Che ormai si dividono su tutto: dall’immigrazione alle trivelle, dalle riforme istituzionali al giudizio sul sindaco di Roma. Per cui null’altro palazzo Chigi può fare che rinviare. Perfino le due misure- Totem, quelle che hanno consentito a Lega e M5S di sbancare i seggi elettorali del 4 marzo scorso: quota 100 e reddito di cittadinanza. «Lo facciamo per prepararli meglio, vogliamo fare le cose per bene», spiega Conte. Auguri.

Il senza prosegue e avvinghia pure l’opposizione. A nessuno, infatti, viene in mente di giustificare le difficoltà dell’accoppiata gialloverde in virtù del pungolo di Pd, FI e FdI; dall’azione congiunta cioè di chi non ha votato il governo. Perciò senza crisi, senza maggioranza e anche senza alternative praticabili: siamo un Paese sospeso sull’incertezza, auto infilatosi con decisione e perfino voluttà in un vicolo cieco nel quale andare avanti è precluso ma tornare indietro è impossibile.

Il peso del senza affligge in egual misura le leadership. Matteo Salvini è privato del ruolo di padre- padrone della coalizione. Lo stop che ha subito sul terreno a lui finora più confacente, la lotta all’immigrazione, toglie certezze e restringe il raggio d’azione. Il consenso appare garantito, ma chissà: la parabola di Matteo Renzi è sempre lì, come ammonimento. E’ presumibile che il ministro dell’Interno cerchi rivincite su altri settori. Ma è un esercizio di incerto ritorno. L’esempio più eclatante è la Tav. Salvini minaccia un referendum: però invocare una consultazione popolare per cancellare una decisione eventualmente presa dal governo che si appoggia e definitivamente licenziata dalla maggioranza di cui si fa parte, è una torsione logica nella quale affogherebbe perfino Cartesio.

Non diversa - però non è una consolazione: piuttosto un aggravio - è la situazione di Di Maio. Che rischia di vedersi strappato di dosso il più importante degli scudi protettori: quello di Beppe Grillo. Il Garante non garantisce più i No Vax e firma assieme a Renzi gli appelli del virologo Burioni. E’ innegabile - e anche piuttosto stordente per chi ha ritenuto l’ex comico una sorta di oracolo e di indiscutibile bussola - che si tratti di un dietrofront che apre scenari di disaffezione finora ritenuti inverosimili. A proposito. E’ senza anche Alessandro Di Battista. Senza parole, precisamente. In tanti aspettavano o paventavano il suo rientro. Da quando è sbarcato in Italia, foto con Di Maio a Cortina a parte, è sparito dai radar. Aspettiamo.

Senza crisi, senza maggioranza, con un Contratto a brandelli, e senza più certezze dopo sette mesi di coabitazione sulle montagne russe. Ci sarebbe da aggiungere: senza sviluppo. Ieri l’Istat ha reso noto che la produzione industriale - in assenza della quale ogni ipotesi di crescita è carta straccia - è crollata in termini tendenziali del 2,6 per cento. Il soffio gelido della recessione ostruisce i polmoni della seconda industria manifatturiera dell’Europa. Abbiamo giustamente battagliato con l’Europa matrigna: continuando a tuttavia a dilapidare risorse. E adesso che succede? Nessuno può dirlo con certezza senza rischiare di fare sfoggio di sicumera. Si andrà avanti in qualche modo fino alle Europee in un limbo di attesa da deserto dei Tartari; poi si vedrà. Perchè tra tanti senza, uno solo non è possibile: senza futuro.