Quel che impressiona è la rapidità, quasi brutale, del tutto: come se in poche settimane il neopresidente brasiliano Jair Bolsonaro volesse cancellare per sempre la memoria dei governi che l’hanno preceduto.

Gli odiati Lula e Rousseff, messi all’angolo dalle inchieste della magistratura che gli hanno aperto di fatto la porta di una presidenza fino che a pochi anni fa sarebbe stata inarrivabile. Fatti fuori i grandi avversari ora giunge il momento di vendicarsi sui loro seguaci e per farlo cosa c’è di meglio di scatenarsi contro i lavoratori della pubblica amministrazione?

Un «covo di socialisti e comunisti», giura Bolsonaro che ieri ha annunciato centinaia di licenziamenti politici. Un’epurazione di massa che ricorda sinistramente le purghe staliniane e, più recentemente, quelle del presidente turco Erdogan. «E’ giunto il momento di ripulire il Brasile dalle ideologie comunista e socialista che hanno seminato il caos nel nostro paese con la disoccupazione, l’assitenzialismo, linsicurezza per le famiglie», ha tuonato durante il suo primo consiglio dei ministri.

Colpisce anche l’impudenza dei propositi, l’idea che dei licenziamenti politici di massa possano essere sbandierati pubblicamente senza il minimo di pudore. La logica rivendicata da Bolsonaro e dal suo governo è elementare quanto preoccupante: «Che senso tenersi all’interno del governo e della pubblica amministrazione degli elementi che difendono un altro schieramento, un altro sistema politico?» ha detto il primo ministro Onyx Lorenzoni per poi promettere: «Faremo grandi pulizie e avremo il coraggio di fare ciò