Ci vuole un po’ di coraggio, avverte Giuseppe Conte nella conferenza stampa di fine anno, mentre pochi metri più in là, nell’aula di Montecitorio, volano fascicoli e parole grosse sulla legge di bilancio più veloce della luce e perciò più sincopata della storia. Ci vuole un po’ di coraggio perché il 2018 si chiude con la rasoiata dell’Ufficio parlamentare di bilancio secondo cui la pressione fiscale aumenterà e il complesso della manovra è di tipo recessivo: miscela tremenda e terrorizzante. Mentre la Bce non si stanca di ammonire che continuando di questo passo i conti pubblici italiani finiranno fuori controllo.

Ci vuole un po’ di coraggio perché si avvicina il tornante delle elezioni europee e migliore trappola non c’è per far scattare rivalità, divaricazioni, polemiche. Ma guai ad avviarsi al punto di rottura o, peggio, chiudere l’avventura in gialloverde: «Tradire la prospettiva di realizzare un progetto riformatore sarebbe un grave errore anche agli occhi dei cittadini che ci hanno votato». Ossia: cari Salvini e Di Maio se fate gli sfasciacarrozze l'elettorato vi punirà. A chi conviene sfidare il destino?

Ci vuole coraggio perché sono stati sette mesi vissuti pericolosamente, superando le asperità che comunque punteggiano il percorso di un governo e ancor più quelle, assai più pericolose, che una maggioranza nata per necessità si è autocostruita e sulle quali ha rischiato di cappottare. Ci vuole coraggio perché adesso non ci sono più alibi: il refrain su “quelli di prima” acquista un sapore acidulo e strumentale, adesso la classe dirigente è quella che ha conquistato il potere ed espugnato la cittadella di palazzo Chigi. Ora quella gente lì ci deve mettere la faccia, governando per risolvere i problemi e realizzare le promesse, smettendo di stressare gli italiani con i toni e le movenze di una campagna elettorale tanto infinita quanto stucchevole.

Ci vuole un ( bel, bisogna aggiungere) po’ di coraggio perché per forza devi rivedere alcuni fondamentali. Per esempio la squadra dei ministri. Certo il rimpasto «esula dalla sensibilità del presidente del Consiglio. Se ci sarà è un’esigenza che maturerà in seno ad una delle parti politiche». Ovvio che il presidente del Consiglio non potrà restare all’oscuro e userà tutta la felpatezza - ed è davvero tanta - di cui dispone per allontanare tensioni e difficoltà. Del tipo: sicuro che far pagare pegno ai tecnici, sostituendoli con figure più legate a Carroccio e Cinquestelle sia una scelta che rafforza il governo o non al contrario lo indebolisce?

A proposito. Ci vuole una dose particolare di temerarietà per affrontare anche l’altra questione scivolosa più che mai: la revisione del Contratto di governo. «La possibilità di un tagliando non è da escludere - chiosa Conte perché quando si cammina assieme è bene fermarsi un attimo a riflettere, vedere cosa è meglio fare e incrementare il programma». Anche perché, è doveroso aggiungere, sono quelle cose dove sai come parti ma non sai mai come arrivi. È tipo quelle costruzioni dove se togli un pezzo il pericolo è che venga giù tutto. Ma lasciare ogni virgola intatta nemmeno è possibile. Perciò adelante cum judicio.

Più in là di così il presidente del Consiglio che ama definirsi populista e avvocato del popolo non va. Non vuole, né gli converrebbe. Il suo ruolo è smorzare i toni, usare gli idranti, smussare le tensioni. Un ruolo che gli si confà perfettamente ma che non produce ambizioni specifiche. Non a caso Conte ci tiene a precisare che vuole certamente arrivare alla scadenza naturale della legislatura e durare quindi cinque anni, ma che una volta esaurito quel tempo “libererà la poltrona”. Non farà come Mario Monti, tanto per capirci.

Ciò non toglie che gli ostacoli svaniscano come per magia. Il Contratto “di necessità” dovrà subire una messa a punto, certo. Ma nessuno può illudersi che possa essere un semplice ritocco. Giustapporre ciascuno le proprie parole d’ordine e necessità, come avvenuto a marzo scorso, può andar bene per fronteggiare l’emergenza: se però l’obiettivo di durata è la legislatura non potrà che essere sostituito da un accordo politico vero e solido. Il che comporterà una metamorfosi della coalizione gialloverde: anche agli occhi dei cittadini, anche nella comunicazione politica, anche nella “narrazione” più complessiva. Ci vorrà tanta volontà e tanta maturità. In quel caso bisognerà saper cucire anche sotto il profilo personale visto che un nuovo attore si profila: Alessandro Di Battista, che secondo alcuni si vedrà assegnato il compito di anti- Salvini. Auguri.

Ciò non toglie che Conte - e non solo lui - possono contare su un sostegno determinante. Che per paradosso non è un pieno bensì un vuoto: l’assenza di alternative possibili. È verosimile che una simile condizione, che ha permesso l’avvio del governo, permanga anche dopo le urne di maggio. Poi ci sarà un altro vuoto da riempire: quello della reificazione delle promesse. Sicuramente lì Conte ci sarà. A far da collante. Per quanto sarà possibile.