C'era una volta, meno di tre mesi fa e già sembrano anni, la diarchia. Matteo Salvini e Gigi Di Maio, generali con folte truppe al seguito, facevano il bello e il cattivo tempo, dovendosi preoccupare solo del reciproco consenso. Il varo del nuovo Def, alla fine di settembre, siglava e definiva il quadro. Messi bruscamente all'angolo i tecnici e i non politici, i Tria e i Moavero ma anche il premier Conte, per imporre la crociata in nome del popolo.

Il presidente del consiglio quasi per caso, Giuseppe Conte, indossava vesti scomode, quelle di chi non è né carne né pesce: non era un leader politico e non disponeva di milizia alcuna, però non era neppure un tecnico puro come i colleghi dell'Economia e degli Esteri e gli toccava dunque, a differenza dei suddetti, assumersi responsabilità anche politiche. Senza avere però molta voce in capitolo. In fondo stava lì, in quell'elevato ruolo, solo perché ci voleva qualcuno di tanto anonimo da non far pesare troppo la bilancia favore dell'uno o dell'altro tra i soci contraenti.

L'estate 2018 era stata la sagra di questa condizione: Salvini neppure si peritava di avvertire il suo sulla carta superiore prima di far deflagrare le sue bombe anti- immigrazione. Di Maio era appena più cortese ma nel merito il capo del governo sembrava essere considerato tale solo dai pezzi da novanta di Bruxelles, puntualmente smentiti peraltro nei loro auspici dal ruggito di turno dei due leoncini gialloverdi a Roma.

Ieri mattina al Senato è andata in scena la rappresentazione plastica del cambio di quadro intervenuto nel frattempo. Giuseppe Conte ha tenuto banco da solo. Le sedie dei due vice, nella solenne occasione, sono rimaste vuote. Non era un'occasione come tante, neppure dal punto di vista mediatico. Si trattava di mettere all'incasso una vittoria diplomatica di prima grandezza: non solo l'aver evitato una procedura d'infrazione che in Italia avrebbe messo in ginocchio i governati e i governanti ma anche l'aver convinto in extremis la commissione europea a soprassedere, almeno formalmente, sul rinvio della decisione sino a gennaio.

La sostanza non è molto diversa. La commissione prima ed Ecofin poi aspettano di vedere la manovra nero su bianco e nella formula approvata dal Parlamento per chiudere davvero, almeno per quest'anno, la pratica della procedura. Ma la scelta di annunciare subito l'accordo, sia pur condizionato alla verifica degli impegni con la manovra approvata in gennaio, fa tutto un altro effetto e non si tratta solo di apparenza. L'impatto sullo spread è stato immediato. Un ripensamento europeo, dopo l'esposizione ieri dei due ' commissari Non è un episodio isolato, un attimo di gloria. E' il risultato di un percorso che, nel corso del lungo braccio di ferro con Bruxelles, ha trasformato la diarchia in un triumvirato. D'ora in poi i due generali dovranno trattare alla pari con l'avvocato senza truppa al seguito. Perché proprio questo la sconfitta della linea dura nel conflitto con l'Europa ha dimostrato: il consenso di massa, il successo sul fronte della propaganda, persino i voti sonanti non bastano. Rappresentano un capitale, ma bisogna saperlo investire. La campagna europea ha provato che i leader della Lega e dell'M5S, da questo punto di vista, sono fallimentari. La linea dell'attacco all'arma bianca si è dimostrata controproducente a differenza di quella basata sulla diplomazia e sul dialogo che, fosse stato per lui, Giuseppe Conte avrebbe probabilmente seguito sin dall'inizio. Non è certo un caso che il rischio di scontro all'ultimo sangue con l'Europa abbia iniziato a diminuire proprio da quando il due leader hanno accettato di cedere il posto e la guida del dialogo a lui.

Conte, peraltro, ha segnato un punto decisivo anche sull'altro fronte, quello del confronto con i tecnici puri. Nella trattativa delle ultime settimane il ruolo del ministro Moavero è stato molto più determinante di quanto non sia apparso. E' stato lui a tessere la rete di rapporti con le cancellerie europee che ha permesso alla commissione di non assumere le posizioni rigide che molto governi reclamavano e fondamentale è stato l'accordo tessuto dal ministro italiano con Berlino e Parigi. Tria, messo più volte in croce, ha gestito l'intera trattativa tecnica. Ma senza il ruolo politico di Conte gli sforzi dei tecnici puri sarebbero stati inutili.

Proprio la natura ambivalente della sua parte in commedia, non del tutto politica ma neppure davvero tecnica, è stata in questo caso una carta vincente per l'avvocato di palazzo Chigi. Così come lo sono stati il sostegno del Quirinale, che lo ha individuato e di fatto indicato come referente privilegiato se non esclusivo, e quello della commissione europea, che preferisce non aver niente a che fare con i rumorosi vicepremier e ha quindi fatto quanto in suo potere per esaltare invece il ruolo del premier e del ministro dell'Economia, ringraziati a più riprese, ieri mattina di fronte alla stampa di mezzo mondo, dal Dombrovskis. E' un ruolo che non si esaurisce con la chiusura del contenzioso. L'Italia resterà una sorta di sorvegliato speciale per tutto il 2019 e oltre. E il ruolo di Conte resterà essenziale.

competenti', Dombrovskis e Moscovici, è impensabile a meno di clamorosi voltafaccia italiani. E' il risultato che Conte ha inseguito nelle ultime 48 ore. Lo ha portato a casa lui ed è quindi stato lui a presentarsi come il vincitore a palazzo Madama.