Prima il bastone, ora la carota. Dopo mesi di fiamme più o meno alte sotto la pentola del governo italiano, ora la Commissione europea mostra il volto comprensivo di chi finalmente vede «una disponibilità nuova a discutere e a confrontarsi».

Grosso modo la stessa richiesta che arriva dal presidente di Confindustria:  "Se fossi in Conte - dice infatti il leader degli industriali italianai - chiamerei i due vicepremier e direi loro di togliere 2 mld l'uno e due l'altro. Se nessuno dei due volesse arretrare mi dimetterei e denuncerei all'opinione pubblica chi non vuole arretrare».

Replica di Salvini: «C’è qualcuno che è stato zitto per anni quando gli italiani, gli imprenditori e gli artigiani venivano massacrati. Ora ci lasciassero lavorare e l’Italia sarà molto migliore di come l’abbiamo trovata».  E poi: «Siamo qui da sei mesi - ha ribadito - ascolterò tutti, incontrerò tutti, ma lasciateci lavorare».

Per tornare al centro dell'Europa, perché è lì l'epicentro delle polemiche, il commissario europeo agli Affari Economici e Finanziari, Pierre Moscovici ha usato parole di gradimento verso l’Italia, che finalmente - anche se ancora timidamente - sembra aver stemperato il proprio oltranzismo nel difendere il deficit al 2,4%: «Ci sono anche delle proposte nuove sul tavolo, che segnano dei progressi e vanno nella giusta direzione», ha concesso Moscovici, il quale però ha rifatto balenare anche il bastone, confermando che «resta uno scarto significativo tra le valutazioni dell’Italia» e quanto sarebbe necessario per rispettare il patto di stabilità.

Del resto, se anche le parole si sono addolcite, i meccanismi europei sono sì lenti, ma comunque implacabili e Moscovici ha ricordato come, nonostante il ritrovato dialogo, la Commissione sta continuando l’iter della procedura per debito. Proprio per gettare le basi per scongiurare la procedura, la colomba del governo, il Ministro dell’Economia Giovanni Tria ha incontrato a margine dell’Eurogruppo il presidente della Commissione, Valdis Dombrovskis. Alla fine della riunione, è trapelato un moderato ottimismo. Diplomaticamente, la nota del Mef ha parlato di «Comune volontà di trovare al più presto una soluzione al contenzioso sulla manovra tra Roma e Bruxelles». Quanto alla soluzione vera e propria, in un’intervista a Bloomberg Tv, Dombrovskis non ha lasciato alcun margine: «Se non ci sono modifiche, siamo pronti a procedere ai prossimi passi della procedura per deficit eccessivo». Più chiaro di così non poteva essere, nello stesso giorno in cui anche Goldman Sachs ha tolto anche l’ultimo alibi al governo: la manovra italiana non è stata bocciata dall’Ue, ma dai mercati finanziari. «I nostri economisti europei rimangono scettici nei confronti della capacità delle istituzioni dell’Ue o degli attori politici italiani per innescare un cambiamento di rotta», è la previsione dell’istituto, che invece scommette su «un’ulteriore pressione del mercato» come «catalizzatore per il ritorno alla disciplina fiscale». E la sintesi è tranciante: «Le cose potrebbero aver bisogno di peggiorare prima che migliorino».

Di qui il groviglio che il governo italiano deve trovare il modo di sgarbugliare. Tra fosche previsioni di recessione, la spada di Damocle europea e la bocciatura dei mercati finanziari, l’unico elemento chiaro è che la manovra, così, non può venire approvata. Come cambiarla - senza dare l’impressione di aver capitolato davanti alle pressioni europee tanto trionfalmente avversate negli ultimi mesi di braccio di ferro - è il dilemma ancora insoluto.

Per ora, gli unici punti fermi sono i tempi parlamentari: la manovra approderà in Aula alla Camera mercoledì alle 14, con alcuni emendamenti del governo che già ritoccano la rotta in direzione della crescita ( «misure all’interno di una manovra moderatamente espansiva, favorevoli allo sviluppo e agli investimenti sia italiani, che esteri», ha detto Tria). Il primo, lo stanziamento di trenta milioni di euro l’anno, nel periodo 2019- 2028, per il Consiglio nazionale delle ricerche, «per il perseguimento efficace delle attività istituzionali di ricerca». E poi ancora 2 milioni di euro per il 2019, di 10 milioni per il 2020, di 26 milioni per il 2021 e di un milione di euro per l’anno 2022, per attività connesse alla presidenza italiana del G20 del 2021. In più, il raddoppio del fondo per ridurre le liste d’attesa, che arriva a 350 milioni di euro. Infine, taglio dell’Imu sui capannoni, per rilanciare l’impresa. Che questi aggiustamenti non bastino è chiaro a tutti: l’Ue ha chiesto uno sforzo per portare l’asticella del deficit al 2% e, per farlo, la strada è una sola: rimodulare le due misure cardine, reddito di cittadinanza e quota 100.

Il tempo stringe, ma proprio di tempo c’è bisogno per far maturare il clima politico dentro la maggioranza, necessario a mettere mano alle due mele avvelenate. Per questo, il governo ha scelto di rimandare qualsiasi modifica ai lavori del Senato, durante la seconda lettura della manovra. «Non è che si rinvia: si è deciso che di questi argomenti si parlerà al Senato», ha tagliato corto Massimo Garavaglia, viceministro all’Economia. Nelle stanze del governo, ribolle il dibattito: il pasticcio comunicativo sulle 6 milioni di tessere per il reddito di cittadinanza ha dato margine d’attacco alle opposizioni ( «Se i miliardi per il reddito di cittadinanza sono 9 e le tessere sono 6 milioni, a testa ci sono 130 euro», ha fatto i conti Giorgia Meloni), mentre Quota100 è considerata dai commissari la misura che mette a rischio la sostenibilità del debito. Risultato: sia grillini che leghisti dovranno ingoiare un passo indietro sui rispettivi cavalli di battaglia. «Rimodulazione» è la parola d’ordine che si ripete al Ministero dell’Economia, ben sapendo che altre strade percorribili non ci sono. Intanto bisogna che maturi la volontà politica, poi bisognerà lavorare di falce ( più che di cesello) sulle cifre.