«Mai come in questi tempi l’ordine giudiziario è investito di grande responsabilità sociale, proprio per il crescente rilievo della giustizia nella vita collettiva, in buona parte specchio della crisi di legittimazione della politica», ha affermato ieri mattina David Ermini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, intervenendo a Roma ad un incontro dell’Associazione Vittorio Bachelet dal titolo: “Il magistrato titolare di doveri”.

Il tema, la “supplenza” delle toghe, non è nuovo. Anzi. E’ dal 1992, dal periodo di Tangentopoli, che la politica ha abdicato nei confronti della magistratura alla propria funzione di guida del Paese. La riforma della giustizia approvata ieri alla Camera, con il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado e il conseguente via libera al processo eterno, è un chiaro esempio di come la delegittimazione permanente della politica rischi di consegnare il Paese nelle mani delle toghe. La questione diventa centrale quando il confronto è con il magistrato “custode dei diritti”.

A tal riguardo, infatti, va sottolineato come «il nesso tra diritti e doveri sia da tempo spezzato, per meglio dire che l’ipertrofia dei diritti fondamentali e di libertà, diritti immediatamente giustiziabili, abbia affievolito e sterilizzato quei diritti sociali dove invece più saldamente la civiltà del diritto si àncora alla civiltà del dovere». Per Ermini, in altre parole, «l’anima della democrazia poggia sul fragile equilibrio fra diritti e doveri: se a prevalere sulla responsabilità è il mero tornaconto, vengono meno coesione sociale e unità politica».

Quali, dunque, le prospettive? «Che vi sia urgenza di recuperare un’etica della responsabilità e un senso dell’equilibrio, in primis nella loro dimensione pubblica, è fuori discussione. In quest’ottica, in un'ottica non di contrapposizione ma semmai di reciproco rafforzamento, è bene che accanto al “diritto di avere diritti” vi sia «il dovere di avere doveri», ha sottolineato Ermini. In tale prospettiva, «i magistrati sono chiamati a far fronte a inedite aspettative ampliando gli spazi di discrezionalità. Del resto, a fronte dell’inflazione e incertezza della legislazione e della moltiplicazione delle fonti, è inevitabile che il riconoscere e tutelare i diritti e le libertà implichi un’attività interpretativa dai confini più laschi».

Tornando al tema iniziale, «si parla spesso, a proposito di questa spinta propulsiva della magistratura verso i diritti, di “supplenza giudiziaria” e vi si ravvisano rischi e criticità. L’eccessiva politicizzazione della giustizia sfilaccerebbe in qualche modo la trama del tessuto democratico». «In verità, già Piero Calamandrei, durante i lavori dell’Assemblea costituente, aveva manifestato preoccupazione per l’attribuzione ai giudici di “un potere di controllo di carattere politico su tutta la legislazione presente e futura”. Ma da una prospettiva rovesciata, individuando lui il rischio non già nell’espansione dei diritti individuali quanto nel “carattere sentimentale” più che giuridico dei diritti sociali».

In conclusione, per il vicepresidente del Csm, «che il ruolo svolto dalla magistratura presenti risvolti inevitabilmente politici non dovrebbe né stupire né scandalizzare, non credo però che il cosiddetto “potere della giurisdizione” possa generare allarme democratico». «Anche se ogni tanto le corti di giustizia possono fare delle angherie nei confronti di singoli cittadini, non potranno mai mettere in pericolo la libertà generale intendo dire finché il potere giudiziario rimarrà veramente distinto sia dal legislativo sia dall’esecutiv», la conclusione tranquillizzante di Ermini, tratta da uno scritto del costituzionalista Alexander Hamilton.