Il parlamentare dem Roberto Morassut lo ripete da anni e a questo ha dedicato il titolo del suo nuovo libro “Democratici” ( che presenterà il 26 novembre al Cinema Farnese a Roma ): “Dopo l’Ulivo e il PD bisogna aprire una terza fase e compiere un passo ulteriore nel cammino dei democratici promuovendo una “costituente” che punti ad un soggetto politico aperto più simile ad un movimento che ad un tradizionale partito e il cui nome non può che essere “Democratici”.

E perché questo non è stato fatto?

La risposta è stata sempre che non c’era tempo, però dopo la débacle del 4 marzo tutti hanno predicato la necessità di un radicale cambio di rotta, utilizzando molte di queste idee e proposte che formulai già dal 2016. Poi ha prevalso l’ordinarietà, le “forme uniche nella continuità dello spazio”, per ricordare Boccioni, ma senza il dinamismo mirabile di quella scultura. Comunque il nodo è integralmente sul campo e spero che si possa affrontare dopo le primarie.

E’ il famoso “ve lo avevo detto”?

Figuriamoci. E’ solo la costatazione che il tempo non sarebbe stato un problema.

Sabato si è aperta la fase congressuale, troppo tardi?

Non è un problema di tempo. Faremo delle primarie “ordinarie”, che non sono un congresso e per eleggere un segretario che forse non sarà candidato premier. Una consultazione da partito a “vocazione maggioritaria” con regole non scritte da “vocazione proporzionale”. Faccia lei…

E dunque, invece, lei che fa?

Sono un “non allineato” e fatico a trovare una collocazione in queste caselle rigide che la situazione ci offre, però voterò Zingaretti.

Era Zingaretti, però, a ipotizzare di separare i ruoli di segretario e candidato premier. Mi spieghi la sua scelta.

Ci sono tre ragioni. La prima è che lo conosco da tanti anni ed è una persona che sa mettere insieme concretezza, vocazione all’ascolto e sa unire. La seconda è che si è sempre misurato col consenso e ha sempre vinto, quindi è apprezzato anche da porzioni di elettorato che vanno oltre il PD. Infine appartiene ad una generazione che può mettersi in sintonia con questa Italia che è cambiata assai negli ultimi dieci anni.

Il tema generazionale ricorda pericolosamente il convitato di pietra di questo congresso.

Guardi, io trovo surreale che il nostro dibattito o addirittura il “sentimental” di queste primarie ruoti intorno alla simpatia o meno di Matteo Renzi o ad un referendum sui “Mille giorni”. Possibile che non siamo più in grado di storicizzare nulla? Di entrare nella distinzione dei fattori soggettivi e di quelli oggettivi delle vicende politiche? Coltiviamo quasi tutti la infantile presunzione che tutto derivi dal nostro far bene o far male, una deriva culturale piccolo– borghese che cancella un secolo di approccio strutturale della sinistra alla storia ed alla politica.

Ma allora che si fa dell’esperienza renziana?

La rottamazione ha esasperato e distorto un tema che esiste e che aveva la sua ragion d’essere: la rappresentanza di una nuova generazione di italiani. Tema che non si può eludere e anche per questo voterò Zingaretti. Poi i governi Renzi e Gentiloni, almeno io, non li rinnego. Cancellare Renzi dal Pd è una assurdità, fa parte della nostra storia. Ma se davvero egli vuole creare un suo sottopotere interno con questi ” comitati civici” fa un errore. Mi ricordano le cellule dell’Azione cattolica di Luigi Gedda, che rispondevano ad un input papale dall’alto. Che civismo è mai questo?

Nelle piazze di Roma, Torino e Milano, però, le bandiere dei partiti erano vietate.

Ci sono, in questo momento, delle pulsioni popolari con un netto carattere democratico e riformista che prescindono dal Pd, anche per nostre responsabilità. Ma sono energie preziose a cui dobbiamo guardare con rispetto per quello che fanno e per come lo fanno avendo l’umiltà di interloquire senza metterci in competizione o mettere dei cappelli. Il nostro compito è aiutare e contribuire a dare a queste spinte un perimetro comune e una visione generale. E’ il compito della politica o sbaglio? Questo, per er me vuol dire farci “movimento” e rinunciare a quella “P” che raccoglie rendite di posizione interne che dobbiamo avere il coraggio di dismettere.

Ma come si può opporre questo ragionamento alle politiche dell’attuale governo?

Prendiamo la manovra. Io non mi scandalizzo del fatidico 2,4 % di deficit come presupposto della manovra. Su questo sento fiacca la nostra replica al governo. Il problema è l’assenza di un progetto di crescita del paese che rende non credibile la previsione dell’ 1,5 di crescita del PIL. Questo è il nodo. Nella manovra non ci sono investimenti per la formazione, le politiche abitative, l’edilizia sociale, l’innovazione e c’è il caos sul tema delle opere pubbliche. La gente lo avverte e scende in piazza, infatti. Bisogna mettere risorse su casa, scuola, ambiente, digitalizzazione. Da anni le analisi dei maggiori critici del capitalismo contemporaneo come Piketty e Stiglitz dicono questo ma la sinistra europea non trova la via per sviluppare una politica che poggi su queste analisi.

E in prospettiva elettorale?

Mi pare che il successo o meno della nostra campagna elettorale si giochi su due aspetti. Il primo un europeismo più sociale e meno finanziario. Dobbiamo assolutamente togliere questa bandiera a populisti e sovranisti e togliere anche argomenti ai nord europei con la penna rossa pronti sempre a farci le pulci. In secondo luogo una proposta di partecipazione attiva aperta che non sia solo una lista più aperta magari ad altre sigle esistenti.

Cosa significa, nei fatti?

Un’altra anima! Il popolo che “non ci vede” è fatto per buona parte da italiani che nel 2008 avevano meno di vent’anni. Si sono formati in questi dieci anni di Stato e partiti deboli. Una recente ricerca dimostra che sei giovani under 30 su dieci non hanno un progetto di vita ma aspirano solo ad avere quanto basta per garantirsi svaghi e vacanze. C’è un allontanamento dalla cultura e dall’etica del lavoro. O affrontiamo il tema della ricostruzione democratica del Paese e di una sua ri– civilizzazione o non c’è futuro. Per questo serve una “nuova fase”, servono idee da costruire e far camminare insieme più che contarci per fissare delle percentuali funzionali alle liste interne o esterne.