Si potrebbe dire: è la resa dei conti. Prevedibile che sarebbe arrivata. Certo è che l’avvocatura si arma della forza della legge e sfida i cosiddetti clienti forti lì dove è chiara la loro riluttanza ad applicare l’equo compenso. In particolare nel distretto di Bari: l’Ordine forense del capoluogo pugliese ha approvato martedì scorso una delibera in cui «invita» al “ravvedimento” banche, assicurazioni ed enti pubblici che di recente hanno proposto ai professionisti baresi convenzioni per gli incarichi legali in netto contrasto con la legge.

La richiesta è di «rivedere» le proposte di accordo in questione e di apportare le dovute «modifiche». Un invito che però potrebbe portartea conseguenze giuridiche non irrilevanti qualora fosse disatteso.

Tanto più che il rilievo delle “violazioni” contestate dall’Ordine di Bari è semplicemente macroscopico. Come si legge nella delibera del Consiglio presieduto da Giovanni Stefanì, «di recente sono pervenute all’attenzione convenzioni per lo svolgimento di attività di consulenza e rappresentanza in giudizio, predisposte da imprese bancarie, assicurative ed Enti pubblici, che contengono clausole vessatorie e prevedono una remunerazione per gli avvocati notevolmente inferiore ( tra il 50 ed il 300%) al parametro “minimo”» fissato dal relativo decreto ministeriale. Sono stati insomma messi in discussione, o per meglio dire bellamente ignorati, i due pilastri normativi introdotti negli ultimi mesi a sostegno della dignità e del decoro della professione. La legge sull’equo compenso, innanzitutto, che in realtà è in parte formalmente espressa in un articolo, il 13- bis, con cui a fine 2017 è stata integrata la legge professionale, inb seguito al tavolo tra il ministero della Giustizia e il Cnf. L’altro pilastro è costituto fal decreto che definisce i parametri forensi, le cui soglie minime sono divenute «inderogabili» a grazie alla modifica introdotta con il decreto ministeriale 37 firmato da Andrea Orlando a inizio 2018. Ora, la stessa legge che vincola banche, assicurazioni ed enti pubblici all’equo compenso richiama espressamente i parametri ministeriali come limite minimo: ecco perché proporre agli avvocati convenzioni con parcelle al di sotto di quei limiti è divenuto semplicemente illegale. L’Ordine di Bari giustamente lo ricorda. E segnala come alcune delle convenzioni in questione impongano agli avvocati, «pena la loro esclusione dalla shortlist», la «prestazione di attività gratuite ( pareri, assistenza alle attività transattive, data entry sul gestionale, reportistica, ed altro)» e, «al fine di poter ottenere un maggior numero di incarichi», anche «l’applicazione di sconti ulteriori sulla convenzione ( cosiddetto fattore di preferenzialità)». E qui forse è il meccanismo più sottile, tra quelli contestati nella delibera: si prova ad aggirare il divieto di proporre convenzioni vessatorie con una sorta di premialità secondaria per chi le accetta. Un comportamento contro legge e che potrà dunque essere facilmente dichiarato illegittimo da un giudice. Ma che lascia intravedere anche la possibilità, per l’avvocatura, di chiamare in causa l’Antitriust. Autorità che si era espressa proprio contro l’approvazione della legge sull’equo compenso ma che, acquisito quel principio nell’ordinamento, dovrebbe imporne il rispetto a chi si inoltra sull’impervio sentiero dell’abuso di posizione dominante. Un esito tutt’altro che improbabile.

Intanto il Coa del capoluogo pugliese ha comunicato la propria delibera, oltre che al Cnf, all’Ocf e a tutti gli altri Ordini forensi del Paese, anche all’Anci e, soprattutto, alle associazioni “datoriali” in questione, ossia Ivass e Abi. A questo punto gli sviluppi successivi dipendono solo dalle risposte che banche e assicurazioni daranno agli avvocati pugliesi.