«Altro che assoluzione. Raggi è stata condannata, perchè ora è costretta a concludere il mandato». Roberto Giachetti, parlamentare dem romano e membro dell’Assemblea capitolina, punta a risvegliare la Capitale e, se gli si chiede che cosa serva, rispolvera la lezione rutellian- veltroniana: «Manca un’idea generale di città, e dobbiamo essere noi a rilanciarla».

Non c’è pace per Roma: la sindaca è stata assolta e ora i 5 Stelle tornano all’attacco di chi li ha criticati.

Per dirla in modo chiaro: il problema vero della vicenda è che i 5 Stelle, come al solito, se la cantano e se la suonano. Qui nessuno, nè da destra nè da sinistra, ha mai detto che Raggi doveva dimettersi per una sentenza, e anzi mai si è sentito un approccio garantista come in questo frangente, nei confronti della sindaca di Roma. Gli unici che hanno chiesto la sua testa, se fosse stata condannata, sono stati i grillini.

Nessuna richiesta di dimissioni, quindi?

Si figuri: io ho sempre detto che Raggi se ne dovrebbe andare per manifesta incapacità, non certo per una sentenza. Per altro, se anche non fosse stata assolta, stiamo comunque parlando di un reato discutibile sul piano giuridico, che non rientra nella legge Severino. Tutta questa montatura è stata costruita dai 5 Stelle, accecati dal loro stesso approccio giustizialista e forse dal fatto che qualcuno di loro avrebbe preferito togliersela di torno. Quindi, leggere che ora se la prendono con altri fa abbastanza ridere.

Lei dice che si è trattato di un tentato golpe interno?

Io penso sia chiaro che una parte del Movimento avrebbe gradito che Raggi sparisse ora, ma il colpo non è riuscito e ora Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista scaricano tutto sulla stampa, come se i giornalisti avessero fatto qualcosa di diverso dal racconto di un iter processuale, come sempre succede quando a processo c’è un politico. In realtà, l’assoluzione della sindaca è stata la sua vera condanna, perchè ora è costretta a concludere il suo mandato e mostrare cosa sa fare, visto che fin qui è riuscita solo a mostrare le sue inadeguatezze.

E come si rilancia la Capitale, che

ora sta dando segni di risveglio, tornando a scendere in piazza?

La città si sta rivoltando, perchè l’amministrazione fa cilecca. Roma merita di riscattarsi, come nei due mandati di Rutelli, dopo Tangentopoli. Allora c’era stato il coraggio di usare i soldi del Giubileo, sfruttando un’occasione importante e mostrando di essere un’amministrazione onesta; non come ha fatto Raggi con le Olimpiadi, rifiutate per paura di combinare pasticci. Ora Roma si sta rivoltando contro una sindaca che in due anni e mezzo non ha più l’alibi di dare la colpa a chi c’era prima: lei si era candidata dicendo che avrebbe fatto i miracoli, i romani non le hanno chiesto nemmeno quelli, ma non ricevono nemmeno una gestione del quotidiano decente.

Eppure la Giunta continua a ripetere che i problemi urbani vengono da lontano.

Vogliamo dire che la situazione dell’immondizia straripante è sempre stata quella di oggi? Non è vero e io lo contesto fermamente. Per le buche lo stesso: è un problema annoso, ma la città non era mai stata così un colabrodo. Quanto al servizio pubblico, Atac è stata portata in tribunale da Raggi, che come primo atto da sindaca ha cacciato via chi stava tentando di risanare l’azienda. S’immagini se una cosa del genere fosse successa a un sindaco dei nostri... I romani sono stati fin troppo pazienti, ma ora si stanno rendendo conto che stare all’opposizione è molto semplice e che i guai arrivano quando ci si misura col governo della città. L’onestà dovrebbe essere un prerequisito, mentre a servire sono competenza e capacità. Altrimenti si arriva al disastro che abbiamo sotto gli occhi.

E il Pd ha idea del punto da cui ripartire?

Sì, si riparte da una visione di città, da qui ai prossimi dieci anni. Di Roma bisogna conoscere le difficoltà ma anche le potenzialità, sapendo che purtroppo sono state perse occasioni importanti, in termini di risorse economiche e procedduali, come le Olimpiadi e lo stadio della Roma. Attenzione, però: da questa situazione non si esce con qualche formula di di centrosinistra un po’ più aperto o un po’ più civico, qui ci vogliono delle idee, che corrispondono a soluzioni.

E non teme che anche Roma, dopo la seduzione pentastellata, cada nella rete leghista? Salvini a San Lorenzo è sembrata il lancio di una marcia su Roma in salsa sovranista.

Come è avvenuto a livello nazionale, il rischio potrebbe tranquillamente esserci anche a Roma. Io però ho la sensazione che la gente si stia rendendo conto che i problemi sono più complessi delle semplificazioni gialloverdi. Prenda il caso di San Lorenzo: è normale che un ministro dell’Interno ci vada, ad essere assurdo è che lo faccia convocando tutte le televisioni. Salvini, però, è questo: uno che ha bisogno di apparire per alimentare la sua propaganda. La propaganda fa prendere voti, è vero, ma non fa risolvere i problemi.

A proposito di prendere voti, il Pd sta per andare a congresso. Lei ha addirittura fatto lo sciopero della fame per ottenerlo: come vive questa fase?

La vivo come la conferma della totale miopia del partito. Abbiamo fatto slittare i tempi, senza fare il congresso quando avremmo dovuto, e ora il dibattito si sta sviluppando in tutte le sedi immaginabili, tranne che in quella naturale che dovrebbero essere i circoli. Andrà avanti così, ahimè chissà per quanto.

Si sta orientando nella scelta del suo candidato, almeno?

E come faccio? Non si sa ancora per certo chi sono i candidati e, soprattutto, che cosa propongono. Minniti è in campo? Io non lo so. Martina? Forse. L’unico certo è Zingaretti. Io aspetto ancora qualcosa di alternativo.

Di temi, però, si parla: in particolare della separazione tra premier e segretario.

Io non posso sostenere chi propone la separazione di questi due ruoli, per di più basandola sul fatto che non c’è più un sistema maggioritario. Il sistema proporzionale generato da questa legge elettorale è un fatto deleterio e io combatto per cambiarlo, non certo adeguarmi. Segnalo, poi, che, quando mettemmo in campo la vocazione maggioritaria, la legge elettorale era il Porcellum, ovvero una legge proporzionale con premio di maggioranza. Separare premier e segretario significa achiviare il progetto politico del Pd: è legittimo ma io non sono d’accordo.

Insomma, troppe correnti e poco partito?

Correnti? Ormai siamo agli spifferi. Io non mi sono mai fatto spaventare dalle correnti: il problema non è cosa sono, ma ciò che producono. Per questo, ho detto a Renzi che sono contento che lui non voglia fare alcuna corrente, perchè non potrei essere con lui se lo facesse.

È ancora renziano, oppure rimane eretico?

Guardi, a Salsomaggiore mi sono trovato d’accordo con molti interventi sull’idea di partito e di paese, ma nello stesso tempo sono in disaccordo con le scelte in merito allo svolgimento del congresso. Non sono mai stato ingabbiato, ma oggi mi sembra che il partito, più che delle correnti, sia ostaggio di una sarabanda di personalismi.