Visto da Bruxelles, il governo è fragile e «si sta avvitando. Non so quando, ma cadrà». Ma Goffredo Bettini, europarlamentare dem, non assolve l’Europa «tecnocratica e ottusa». Una Ue che però ci attacca sul fronte economico. Lei capisce la linea dei commissari? Nel corso di questi anni è stata la sinistra, e in particolare il gruppo socialista e dei democratici, a combattere contro l’austerità, un ottuso rigore circa i bilanci, una visione della Commissione spesso tecnocratica e burocratica. Questa linea in Europa va cambiata. Ha difeso solo gli interessi della Germania e ha portato alla deflazione, alla stasi della crescita e ad un aumento delle disuguaglianze. Dunque lei è d’accordo con la linea dura del governo? No, l’attuale governo sta sbagliando tutto. Attacca l’Europa non per cambiarla ma per distruggerla, aumentando sospetti e sfiducia. Fa confusione sui conti, per furbizia e incompetenza. Si presenta all’interlocutore europeo con mille voci diverse, spappolato e insicuro. Forza sui margini del debito, non per aumentare gli investimenti, l’innovazione, la ricerca, una riforma del fisco progressivo e più giusto che affronti in modo strutturale la povertà, per difendere l’ambiente e per un sostegno all’inclusione dei giovani. Vuole bruciare risorse per le promesse che Lega e 5Stelle hanno contratto nelle rispettive campagne elettorali. È davvero uno spettacolo deprimente. E intanto approva il dl Sicurezza e la norma sulla prescrizione. Mentre Lega e 5 Stelle rinsaldano l’alleanza, il Pd ha il primo banco di prova per la sua opposizione? Non mi pare che questa alleanza si stia rinsaldando. I giornali riportano che Di Maio e Salvini quasi non si parlano più. Sono in disaccordo su tutte le questioni da decidere. Le nomine, che si accaparrano l’uno contro l’altro; le priorità sulla legge di bilancio, la Tav; i condoni e le sanatorie ed anche l’approccio verso i migranti, la sicurezza e la giustizia. L’esecutivo si sta avvitando. Sulla prescrizione, però, hanno trovato la quadra. Il compromesso raggiunto scontenta tutti e, comunque, determina un passo indietro nelle garanzie per i cittadini. Sono figlio di un avvocato penalista e repubblicano, ritengo una mostruosità giuridica e umana far pagare la lunghezza del processo penale all’imputato. Occorre decidere in tempi ragionevoli se l’inquisito è colpevole o innocente. La durata di questo governo, comunque, dipende anche dalla qualità dell’opposizione del Pd. Occorre incalzare, articolare, suscitare contraddizioni nella maggioranza, aprirsi nei territori a tutte le energie disponibili. Insomma dobbiamo superare la fase della propaganda e iniziare a fare politica. La Lega è andata all’incasso in modo più focalizzato rispetto ai grillini. Sono loro la parte debole del governo, anche se numericamente più numerosa? In verità è tutta la catena debole. La Lega e i grillini si danno colpi a vicenda. Ed è naturale; sono due forze molto diverse; entrambe pericolose, ma diverse. I 5Stelle sono l’antipolitica che ha dentro tante cose contrastanti; per cui sono più fluttuanti ed esposti; la Lega è una formazione compatta, con le idee chiare, espressione in Italia di una destra europea xenofoba, nazionalista e illiberale. Lo scontro è inevitabile. Peccato che con la nostra stolta pregiudiziale, persino contro un semplice avvio di confronto, abbiamo regalato forze e spazio a Salvini, che è balzato al 34% dei consensi e comunicativamente è più incisivo dei suoi alleati. Guardando l’Italia da Bruxelles, ha la sensazione che il governo durerà? No, è destinato a spezzarsi; non so quando, ma si spezzerà. Ma il problema è capire quale sarà lo sbocco successivo. O noi saremo in grado in questi mesi di ricollocare politicamente, culturalmente e programmaticamente il Pd e di cambiare completamente la forma partito, o i rischi saranno ancora maggiori. La prospettiva più vicina sono le Europee. Lei che campagna elettorale vorrebbe che il Pd facesse? Ho scritto un libro uscito qualche giorno fa che si intitola Agorà. Lì spiego quello che penso: recuperare la frattura tra le élite della sinistra e il popolo, tornando alla ragione che ci ha scaturito; vale a dire accorciare le distanze tra i ricchi e i poveri e promuovere l’emancipazione umana. Poi bandire nel partito le correnti, i leader demiurghi, i feudatari incontrollabili nei territori, per costruire sedi aperte (le chiamo, appunto, "agorà") nelle quali gli iscritti e i cittadini possano incontrarsi, discutere e decidere. Soprattutto decidere. La sovranità deve tornare alla base della piramide. Insomma, o decidiamo di attraversare la vita vera delle persone, con i suoi dolori e le sue speranze, e allora saremo in grado di raccogliere la crisi dell’alleanza gialloverde, o Salvini, quando non reggerà più l’attuale esecutivo, punterà a superare da solo il 40%. E a quel punto si incrinerebbe la Repubblica. Intanto però il partito è preso al suo interno dalla dinamica congressuale. Lei si è schierato con Zingaretti, ma non teme che andare adesso alla conta interna indebolisca il partito? Una vera discussione congressuale non può che far bene all’opposizione parlamentare e alla campagna elettorale per le europee. La cosa, semmai, che ha lasciato interdetti è non aver approfondito in nessuna sede la sconfitta del quattro marzo. Questo ci ha reso più deboli. Solo un congresso può rimettere mano, nei termini che dicevo prima, alla nostra politica e correggere gli errori compiuti, naturalmente facendo tesoro anche delle cose buone che abbiamo realizzato. Non voglio un congresso che sia la conta tra correnti, ambizioni personali, recriminazioni o assoluzioni che guardano indietro, invece di avanzare una coraggiosa proposta per il futuro. Lei è schierato con Zingaretti. Ho detto semplicemente che per tanti motivi Zingaretti mi pare il candidato più credibile, non segnato da una lunga fase negativa della nostra vita interna, formato nella prova dura del governo della provincia di Roma e della regione Lazio e fornito di una lunga esperienza di direzione politica nei territori e anche di livello internazionale. Le altre candidature che si prospettano sono anch’esse di valore. Ma, sembra a me, più appesantite dalla loro esperienza degli ultimi anni, che alla fine si è conclusa con una drammatica sconfitta. Vedremo, comunque, le piattaforme. La cosa che non condivido è la ricerca di un candidato che già in partenza si autodefinisce più unitario. Il candidato più unitario è quello che riuscirà ad avere i maggiori consensi tra i nostri iscritti e nelle primarie aperte ai cittadini.