Senza la crisi edilizia del 1888- 1890 probabilmente San Lorenzo non sarebbe mai diventato quello che è stato poi nel XX secolo: uno dei due quartieri rossi della Capitale. Le costruzioni, di fatto in mezzo alla campagna, erano iniziate cinque anni prima, a valanga, sull’onda del boom edilizio seguito alla proclamazione della città eterna a capitale del Regno. Quando all’euforia seguì la crisi, però, di edifici ultimati quasi non ce n’erano e toccò finirli alla come capita, quando la parsimonia non consigliò addirittura di lasciarli com’erano, con giusto un tetto sopra.

Piazzato fuori dalle mura, battezzato col nome della vicina Porta san Lorenzo, oggi Porta Tiburtina, il quartiere diventò subito una delle poche aree operaie della città improduttiva per eccellenza: c’era lo scalo merci, il deposito tram e le officine dove i medesimi venivano costruiti, una fabbrica di birra e un pastificio. Siccome la città si allargava in quella direzione, all’inizio del Novecento c’erano anche cantieri che spuntavano come funghi. Di conseguenza c’erano anche gli immigrati, che arrivati finivano più o meno tutti lì: abruzzesi soprattutto, poi a seguire, dalle Marche, dall’Umbria, dalla Romagna, dalla Toscana. Molti lavoravano, molti no e il quartiere poteva vantare il privilegio del più malfamato. Maria Montessori in quell’alba del secolo ne parlava così: «Quando sono venuta per la prima volta per le vie di questo quartiere dove la gente per bene passa solo dopo morta, ho avuto l’impressione di trovarmi in una città dove fosse successo un gran disastro».

All’epoca e fino al primo dopoguerra San Lorenzo era una roccaforte anarchica. I partiti popolari arrivarono solo in un secondo momento, e il Partito socialista rimpiazzò il movimento anarchico senza però cancellarlo completamente. Quartiere operaio e di sinistra, San Lorenzo fu con Testaccio la zona di Roma che più resistette al fascismo. Qui gli Arditi del Popolo si erano organizzati mettendo insieme comunisti, anarchici e anche un bel po’ di malavita di quartiere e parecchi militanti socialisti, nonostante l’anatema del partito. Quando la colonna guidata da Bottai passò per le vie di San Lorenzo, nella marcia su Roma, incontrò una resistenza imprevista e feroce. Dai tetti volò sulle camicie nere di tutto, dai mattoni all’acqua bollente, dalle finestre e per le strade gli Arditi spararono sulle camicie nere. La battaglia durò un’ora ma i fascisti non dimenticarono l’affronto. Tornarono in forze, qualche giorno dopo, guidati da Italo Balbo. La rappresaglia fu durissima e lasciò sul terreno 13 vittime. A San Lorenzo, nel ventennio, il regime si preoccupò ben poco di penetrare. Il fascismo preferiva concentrare gli oppositori in quartieri specifici, in modo che fossero facilmente controllabili e rintracciabili, e la sacca riottosa di San Lorenzo fu semplicemente abbandonata. Ridotta a ghetto o quasi. A modificare il tessuto sociale del quartiere furono le oscillazioni dell’economia, che spinse verso quell’area l’immigrazione stavolta in arrivo dal Sud, e determinò negli anni ‘ 30 la chiusura di una serie di aziende con la conseguente sostituzione parziale della originaria popolazione operaia con fasce impiegatizie e con il proliferare dell’illegalità.

A colpire furono invece gli alleati, nel grande bombardamento di Roma del 19 luglio 1943, il primo su Roma. San Lorenzo fu il quartiere più colpito. Delle 3mila vittime di quel giorno la metà perì sotto le bombe nel quartiere rosso. Il papa arrivò a piazza del Verano, benedisse le vittime e la popolazione accolse Pio XII senza furore. Quello lo riservò per il re, la cui auto fu accolta a sassate consigliando al monarca la retromarcia. Il duce non si fece vedere fino all’ultimo giorno del suo regime, meno di una settimana dopo, il 25 luglio e si trattò comunque solo di una visita lampo ai feriti.

Alcuni dei palazzi sventrati dalle bombe sono ancora oggi nello stesso stato. Difficile e lunghissima, la ricostruzione spinge fuori dal quartiere una parte sostanziosa degli abitanti, sostituiti da una massiccia leva di immigrazione dal sud alla quale si aggiunge, dagli anni ‘ 60, l’impatto di una popolazione studentesca che si moltiplica. Ma San Lorenzo, nonostante le trasformazioni, resta il quartiere rosso. La Federazione del Pci, le redazioni dell’Unità e di Paese Sera erano lì. In quelle vie apriranno le loro sedi Lotta continua e il principale gruppo autonomo romano che proprio dalla via in cui si trova la sede del collettivo prenderà il nome col quale è universalmente noto: i Volsci. Ancora a San Lorenzo nasceranno le prime radio di movimento. Sempre più segnato dalla vicinanza con l’ateneo, da decenni San Lorenzo è soprattutto una delle principali aree di movida giovanile nella capitale, con tutto quel che ciò ovunque comporta in termini di spaccio di stupefacenti, ma a modo suo resta ancora oggi l’area più segnata dalla presenza dei centri sociali e della sinistra radicale movimentista nella capitale. Ma da due giorni proprio San Lorenzo è l’obiettivo di una Lega decisa a dilagare a Roma anche grazie al fallimento della sindaca Raggi.