È difficile raccontare un congresso delle Camere penali. È difficile escludere la parola «sogno». Ricorre anche nei programmi dei due candidati alla presidenza. Ma risuona innanzitutto nell’oratoria incredibile, d’altri tempi, impossibile a resisterle, di Nicolas Domenico Balzano, presidente dei penalisti di Torre Annunziata, con il suo appello rivolto alle assise «più partecipate nella storia dell’Ucpi». Balzano declama la bellezza di Sorrento, sede del congresso. Poi evoca la «fiamma», quella dell’amore per la giustizia: «Al di là delle ambizioni legittime dei due candidati, del dibattito che sarà acceso ma leale, al di sopra di voi, giovani e vecchi, ricordate che c’è l’avvocatura». Applausi. «Tutti fusi in un’unica fiamma, perché la missione per la quale ci battiamo non ci appartiene». Applausi e lacrime. Inevitabili.

È giusto parlare di sogno. Perché oggi le battaglie in cui l’Unione Camere penali italiane è impegnata vedono forze nemiche soverchianti, quelle del giustizialismo. Più che una corrente della politica, un raptus collettivo. Ecco perché battersi e pensare di vincere è un sogno. Che però, come sempre, i penalisti sono ben felici di coltivare, così a loro agio nelle sfide impossibili. Si candidano a diventare presidenti della temeraria armata due ex vertici della Camera penale di Roma, Renato Borzone e Gian Domenico Caiazza. Le urne saranno aperte domani, al termine della tre giorni di dibattiti. Borzone ha guidato l’Osservatorio sull’informazione giudiziaria dell’Ucpi, il secondo si batte in tutte le sedi, anche con una delle migliori trasmissioni, su Radio Radicale, che si possano ascoltare sulla giustizia. Ma l’uno o l’altro avrà un compito mostruoso. E i motivi sono due. Il primo è che mai ci si è scontrati con una piazza tanto refrattaria alle garanzie. Il secondo è che dovranno misurarsi con «un gigante», come lo definisce Francesco Petrelli, ossia con il presidente uscente dell’Ucpi Beniamino Migliucci.

Che è il protagonista della prima giornata del congresso di Sorrento. È proprio Petrelli, a sua volta segretario uscente, a precederlo. Parla due minuti: l’ovazione della sala gli toglie sostanzialmente la parola. Sono tutti con lui, gli avvocati penalisti, più di mille: gli fanno capire che respingono come un solo uomo le accuse del collega Giosuè Bruno Naso, difensore come lui al processo Cucchi e inviperito perché il carabiniere assistito da Petrelli, Francesco Tedesco, ha svelato la probabile verità su Stefano. Di fronte alla solidarietà dell’intera sala, Petrelli è travolto dalla commozione. Migliucci resisterà più di lui, fino a cedere solo per un istante, a fine intervento, quando dopo aver ringraziato «il mio segretario a vita, Francesco», non trattiene un lievissimo singhiozzo nel ricordare «mia moglie e i miei figli che mi hanno sopportato in questi quattro anni».

E Migliucci li ripercorre tutti. Ricorda «la raccolta firme per la separazione delle carriere» e, soprattutto, «le astensioni: c’è chi dice non siano servite, ma nel batterci siamo riusciti a evitare per esempio che nella riforma del processo penale Casson ci infilasse la sospensione dopo il primo grado. Ma proprio sul «processo che rischia di finire quando sono vecchi i figli dell’imputato, non l’imputato», si arriva al dunque. «Bonafede dice che la gente lo ferma per strada per chiedergli di interromperla: dubito sia così. Dovrebbe vantarsi della sua estrazione di avvocato, invece dice che è giusto tenere la gente in galera prima della condanna. E si vanta di aver avuto come maestri i magistrati antimafia, anziché di avere una formazione da avvocato». Ecco, Bonafede è forse il bersaglio più immediato. Ma è contro l’intero governo, che Migliucci invita chi, tra Borzone e Caiazza, domani uscirà vincitore, ad essere «ancora orgoglioso di protestare, come abbiamo fatto in questi anni». E quando cita i due soli gabinetti da cantiere a disposizione per i 190 naufraghi della Diciotti, avverte così Salvini: «Staremo in piazza per contrastare lo spregio dei diritti, ci staremo tutto il tempo che servirà, il ministro dell’Interno lo deve sapere e deve sapere che non ce ne frega nulla del consenso al 36 o al 37 per cento».

Il presidente che ha fatto dell’Ucpi un soggetto politico assicura che «daremo filo da torcere» all’esecutivo. È un mandato per il successore. Consegnato in una giornata inaugurale in cui il ministro della Giustizia invia un lungo messaggio così accolto da Gustavo Pansini sul banco della presidenza: «Il guardasigilli dovrebbe venire ad ascoltare, non scrivere senza presentarsi, quindi il suo testo non merita di essere letto». Viene letto invece il messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: esprime «apprezzamento per il tema scelto, che conferma l’impegno delle Camere penali nel promuovere il dibattito sullo Stato di diritto». Il tema è “Il buio oltre la siepe. La difesa delle garanzie nell’epoca dei populismo”. E che Mattarella apprezzi, vuol dire tanto.