Sono decenni che le istituzioni della Quinta Repubblica, le stesse che François Mitterrand ( che poi ne approfittò più di chiunque altro) definiva «un colpo di Stato permanente», sono messe in discussione dalla classe politica francese, in particolare da socialisti e liberali.

Antiquata, autoritaria, centralista, incurante della divisione dei poteri, secondo i suoi detrattori la Carta del 4 ottobre 1958 darebbe corpo a una specie di monarchia mascherata, che concentra tutti i poteri nelle mani del presidente eletto a suffragio universale e relega de facto il Parlamento a mero esecutore della sua volontà politica.

Una creatura figlia del suo ingombrante padre, il generale De Gaulle, che giurò di «restituire grandezza alla Francia» e della sua turbolenta epoca ( fu approvata in piena guerra d’Algeria). Nel corso degli anni più volte è stato evocato il suo superamento, ma la cosiddetta Sesta Repubblica rimane un fantasma politico. Questo non vuol dire però che oltre le Alpi non si stia muovendo nulla.

Come aveva annunciato nella campagna elettorale del 2017, lo scorso maggio il presidente Macron ha infatti presentato un progetto di ri- forma “Per una democrazia più rappresentativa e più responsabile” con lo scopo di «modernizzare» le istituzioni. Tra i punti che verranno discussi in Assemblea nazionale figura il divieto di accumulare cariche istituzionali ( sindaco e parlamentare), l’introduzione di una quota proporzionale ( dal 10 al 25%) nella legge elettorale, riduzione del numero dei deputati e rafforzamento del controllo del Parlamento su organi dello Stato come la Corte dei conti, riforma del consiglio superiore della magistratura, diritto di petizione da parte dei cittadini ( 500mila firme) che possono trasmettere progetti di legge all’Assemblea nazionale, più poteri alle autonomie locali come uno statuto speciale per la Corsica e per i dipartimenti d’oltremare e un riferimento alla lotta al riscaldamento globale.

L’impianto della Quinta repubblica rimane in piedi, ma la volontà di mitigare il suo centralismo è altrettanto evidente. Per approvare la legge ci vorranno i tre quinti del parlamento con i deputati neogollisti dei Républicains che annun- ciano una ruvida battaglia nella difesa del totem. Ma, come dicevamo, la Quinta Repubblica è una monarchia mascherata, e paradossalmente Macron potrà aggirare una eventuale sconfitta parlamentare indicendo un referendum per confermare la sua riforma.

Per l’avvocatura transalpina il dibattito è l’occasione di rilanciare una storica battaglia: inserire il diritto alla difesa e la figura dell’avvocato nella Costituzione. Su questo punto la Francia è molto indietro rispetto ad altri paesi. Ad esempio l’articolo 29 della Costituzione tunisina del 2014 prevede che ogni imputato abbia «diritto a farsi rappresentare da un avvocato», stessa musica per l’articolo 17 della Costituzione spagnola del 1978 che garantisce «l’assistenza di un avvocato a ogni cittadino sottoposto a inchiesta giudiziaria». Anche il Brasile consacra alla figura dell’avvocato e della pubblica difesa tre articoli della sua Costituzione ( dal 133 al 135). L’articolo 66 della Costituzione francese del ‘ 58 invece parla unicamente di «ingiusta detenzione», stabilendo che «l’autorità giudiziaria è la sola custode della libertà individuale». D’altra parte concetti come diritto alla privacy e alla protezione di dati sensibili, così attuali nelle società contemporanee, non sono minimamente presi in considerazione da una Carta vergata nel solco del sovranismo gollista.

Come spiega l’avvocato Philipe Klein del foro di Aix en Provence, tra i più attivi in questa battaglia: «Nella nostra Costituzione non c’è traccia del diritto individuale alla difesa tramite l’assistenza di un avvocato. L’unico testo a cui possiamo fare riferimento è l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che però è previsto soltanto per i condannati e i detenuti e non per i cittadini in quanto tali». Klein è convinto che l’emendamento dell’articolo 66 sarebbe un’operazione semplice se solo ci fosse la volontà politica ( nel 2016 l’Assemblea nazionale bocciò una proposta analoga): «La Costituzione deve restare un testo breve e conciso, sarebbe sufficiente aggiungere un comma all’articolo 66: “Ogni individuo a diritto alla protezione della sua vita privata, dei suoi dati personali e di essere assistito da un avvocato libero e indipendente”, un principio di cui il Paese dei Lumi e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dovrebbe andare fiero».

Oltre ad estendere il campo dei diritti e delle libertà individuali, la riforma dovrebbe dare dignità a una figura senza la quale non potrebbe esserci giustizia nelle istituzioni: l’avvocato rappresenta infatti un contropotere di fronte al pubblico ministero, la sua stessa presenza garantisce la terzietà di un giudice virgin mind posto alla giusta distanza dalla disputa, permettendo il contraddittorio l’avvocato partecipa attivamente all’indipendenza e all’imparzialità della giustizia.

Nonostante le resistenze e i feticismi costituzionali, l’avvocatura francese spera di vincere questa battaglia. Secondo Marie Aimée Peyron dell’ordine di Parigi «la revisione costituzionale deve diventare un’opportunità per rafforzare i pilastri della Repubblica e tra loro c’è senza dubbio il diritto alla difesa e all’assistenza di un avvocato indipendente» .