Sessantadue bambini dietro le sbarre. Anzi 60 da ieri, dopo la morte del bimbo di quattro mesi e il ferimento grave del fratellino di due anni, che i medici stanno tentando di strappare alla morte. Numeri in crescita: a dicembre 2017 erano infatti 56 i minori costretti a vivere in carcere assieme alle proprie madri, 37 a fine 2016. I dati, pubblicati sul sito del ministero dell’Interno, fotografano la situazione in tutta Italia al 31 agosto. Nel nostro paese si contano 2551 detenute, 52 delle quali vivono in compagnia dei propri figli, troppo piccoli per allontanarsi dalle madri. Sono 15 gli istituti che ospitano madri e figli: 27 sono italiane, in cella assieme a 33 bambini.

Venticinque le madri straniere, che si prendono cura in stato di detenzione di 29 bambini, in una condizione lontana anni luce da una normale infanzia.

I numeri più alti sono quelli di Rebibbia, dove ieri si è consumata la tragedia: al “Germana Stefanini” sono presenti 16 bambini a seguito di 13 madri. Un carcere sovraffollato, dove sono presenti 353 donne su 276 posti disponibili. A seguire c’è il Lauro Icam - istituto a custodia attenuata per detenute madri -, in Campania, con 12 bambini e 10 madri. Un istituto che rientra nelle strategie stabilite dalla legge 62/ 2011, pensata per valorizzare il rapporto tra le madri e i loro figli all’interno del penitenziario, in ambienti pensati come una casa- famiglia, per tenere i bambini il più possibile lontani dal clima carcerario.

Anni dopo quella legge, però, sono soltanto cinque gli Icam attivati: Milano San Vittore, da dove è partito il primo progetto e dove vivono quattro bambini con le loro madri, Venezia Giudecca ( dove sono presenti sei minori e cinque madri), Torino “Lorusso e Cutugno” ( dove si trovano 10 bambini e sette madri), Cagliari e, appunto, Avellino Lauro. E dove gli Icam non esistono, come nel caso di Rebibbia, i bambini finiscono “reclusi”, fino ai 3 anni, nelle sezioni nido nei penitenziari femminili. La legge rimane dunque attuata a metà, facendo, di fatto, ricadere le colpe delle madri sui figli.

Come nel “Giuseppe Panzera” di Reggio Calabria, dove è presente una madre straniera assieme ai suoi due bambini, il “Rocco D’Amato” di Bologna, con due madri straniere e due bambini, il “Bollate” di Milano, con tre madri e tre bambini, e una madre con un bambino a seguito negli istituti di Brescia, Foggia, Lecce, Sassari, Messina, Firenze e Perugia.

«La tragedia di Rebibbia ci ricorda il dramma dei tanti troppi - bambini che crescono e vivono dietro le sbarre senza aver commesso alcun reato, da innocenti», ha commentato Mara Carfagna, vice presidente della Camera e deputato di Forza Italia. Sette anni dopo la legge sull’istituzione degli Icam, «sono solo cinque le strutture dedicate e insufficienti le case protette: troppi bambini sono oggi condannati a crescere dietro le sbarre. È inaccettabile, oltre che pericoloso. Forza Italia chiederà conto del ritardo accumulato negli anni - ha concluso - e pretenderà che nella legge di Bilancio vengano stanziate le risorse necessarie», conclude. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la collega di partito e deputata Renata Polverini. «I bambini non devono pagare le colpe dei genitori e non è giusto che vivano in certe realtà - ha commentato -.

Esistono case protette ma non sempre vengono utilizzate.

Bisogna riflettere davanti a certe tragedie e se il caso cambiare qualcosa nella legge». Sul caso, la consigliera regionale del Lazio del Pd, Michela De Biase, ha chiesto di ascoltare il VII Commissione welfare il garante dei detenuti e il garante dell’infanzia e dell’adolescenza del Lazio.

«Mi auguro si apra presto un dibattito serio sulla presenza dei minori nelle carceri - ha dichiarato -. Le istituzioni hanno il dovere di difendere e tutelare la vita dei minori».